Patrimoniale, pressione fiscale e addizionali mascherate sono le pietre miliari della sinistra quando si tratta di avere a che fare con gli aggiustamenti finanziari. E Nicola Zingaretti, segretario Pd e governatore del Lazio, in questa veste non fa eccezioni tant'è che malgrado l'esultanza di luglio scorso per l'uscita dal commissariamento della sanità, dopo 12 anni di peripezie economiche e tagli indiscriminati ai servizi assistenziali, l'Irpef regionale rimane di ben mezzo punto sopra lo standard nazionale.
Quella famigerata gabella che negli anni è stata incrementata questa la stringente motivazione - per ripianare i deficit del bilancio sanitario. Già. Ma a oggi il Lazio non è più commissariato e il bilancio, seppur ancora da ripianare, consentirà all'Irpef di mantenersi fino a tutto il 2021 con la percentuale più alta di tutte le regioni d'Italia. Ovvero: pari a 1,73% per i redditi sino a 15mila euro, 2,73% per i redditi tra 15mila e 28mila euro, 2,93% tra 28mila e 55mila euro, 3,23% tra 55mila e 75mila euro e non ultimo a 3,33% oltre i 75mila euro. Cifre che nella media della pressione si attestano tra le aliquote più alte: Abruzzo, Calabria, Puglia, Toscana, Trento e Bolzano a 1,73. Lombardia a 1,74; Umbria 1,83 Valle d'Aosta e Veneto a 1,23. Emilia Romagna, Basilicata, Molise e Liguria a 2,33; Campania (2,93), Friuli Venezia Giulia (1,12), e Piemonte (3,33).
Tuttavia il segretario del maggior azionista del governo Conte 2, Nicola Zingaretti, ha voluto invece dare notizia del taglio dell'Irap che poi investe con un piccolo abbassamento di aliquota solo alcune tipologie economiche colpite dall'emergenza Coronavirus. Diversamente lo storno sull'Irpef riguarda invece un calmiere imponibile fino a 35mila euro lordi o per famiglie numerose e con figli disabili a carico che raggiungono i 50mila euro di reddito complessivo. Un saldo complessivo di circa 343 milioni che però va a cozzare con il fatto che l'Irpef regionale nel Lazio ne produce oltre 900 milioni, cifra alla quale tuttavia contribuiscono tutti. Insomma altro che la magnanimità sbandierata in ogni dove per il taglio dell'Irap. Fin dalla prima giunta Zingaretti nel 2013 la pressione fiscale è stata incrementata per accedere al prestito di 10 miliardi messo a disposizione dal governo Monti e garantito proprio dall'aumento dell'Irpef.
Al contempo da quell'anno in poi i servizi ambulatoriali e diagnostici all'interno dei grandi ospedali sono stati ridotti e accorpati, alcuni nosocomi chiusi, non ultimo il Forlanini dove la battaglia per la riapertura ha raccolto nell'ultimo anno soltanto oltre 130mila firme. Quanto invece alle strutture territoriali gli investimenti della compagine zingarettiana hanno languito oltremodo: oltre alla ventina di Case della salute che raccolgono più o meno qualche specialistica non è stata approntata una rete diagnostica confacente ai bisogni dei 5 milioni di cittadini del Lazio che devono ricorrere comunque al settore privato a causa di liste d'attesa di semestri interi.
Un deficit quello della sanità del territorio che è stato sotto gli occhi di tutti sia nella prima che nella seconda stagione di emergenza Covid quando gli ambulatori non sono stati in grado di effettuare neppure test e tamponi ma assieme agli ospedali regionali sono state chiamate a fornire, un adeguato supporto, le stesse farmacie.
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