Nel Pd è già resa dei conti

Orfini: "Ottenuto il risultato che ci aspettavamo". Speranza: "Errore emarginare la sinistra". Fassina: "Cambiare subito rotta"

Matteo Orfini ed Ettore Rosato
Matteo Orfini ed Ettore Rosato

Il giorno dopo le elezioni sono tutti politologi. Nel Pd i dissidenti mostrano i muscoli: hanno battuto i pugni causando non pochi problemi al loro partito, in primis in Liguria, con la Regione che vira a destra, grazie soprattutto ai voti sottratti da Pastorino alla Paita. "Abbiamo ottenuto il risultato che ci aspettavamo, una vittoria, e Renzi è di buon umore", ha detto Matteo Orfini, presidente del Pd, lasciando gli uffici dove con il premier ha seguito i risultati elettorali, trovando anche il tempo di giocare due partite alla play station con lo stesso Renzi. "Cinque regioni conquistate - dice Orfini ai microfoni di La7 -, abbiamo perso in Liguria dove è successo qualcosa di grave dal nostro punto di vista, la scissione a sinistra è un errore che ha regalato la
vittoria a Toti. Al netto di questo caso, per fortuna isolato, il risultato è ottimo. Il Pd ha un dato positivo, sopra il 30% con l’aggregato delle liste". Ma è indubbio che ciò che è successo in Liguria non è un dettaglio di poco conto. Lo schiaffo è pesante. E il tentennamento in altre regioni si è fatto sentire (vedi Umbria, dove il Pd ha vinto ma non stravinto).

Per Orfini va tutto bene: "Non mi sembra che sia cambiato il giudizio sul Pd e Renzi, a noi sembra un dato positivo, venivamo da un ciclo in cui l’avevamo vinte tutte" ed è "un’operazione strampalata paragonare i risultati delle europee con quelli delle regionali, sono dati incomparabili". Quanto al Veneto, dove la candidata Alessandra Moretti è stata nettamente sconfitta dal governatore uscente Luca Zaia, Orfini ha commentato che il dato "conferma la storia di quella regione, una nostra difficoltà a sfondare", mentre per la Liguria, conquistata dal centrodestra, "è un fatto molto legato alla frattura politica nel Pd, la scelta di chi aveva perso le primarie che invece di riconoscere quel risultato ha sfasciato tutto e senza ottenere molto con chi si è candidato".

Pippo Civati, da poco fuoriuscito dal Pd e in procinto di lanciare il suo nuovo movimento, gongola: "Se non vincesse la Paita con tutto il governo e le ministre schierati a Genova - dice in un'intervista alla Stampa - con Renzi che batteva sul voto utile, significherebbe soprattutto che avrebbe perso lui. A noi ci hanno considerato fin dall’inizio marginali e infatti sembra che abbiamo preso almeno il 10%. Non mi sembrerebbe un risultato marginale, nessuno a sinistra in Italia fa queste percentuali". Additato da molti dirigenti di primo piano del suo ex partito come il responsabile della sconfitta della Paita, Civati fa notare di aver solo denunciato lo slittamento del Pd verso destra: un Pd che ha perso consensi a sinistra e anche a destra, perché quel modello di partito centrista non funziona.

"Solo se unito il Pd vince. Estromettere la sinistra è un errore e il posto giusto della sinistra è esattamente nel Pd", dice l’ex capogruppo dem alla Camera Roberto Speranza, in un’intervista a Repubblica. "Ogni volta che ci si divide - aggiunge commentando la vittoria di Toti in Liguria - si commette un errore. Quando spacchi il campo del centrosinistra è chiaro che finisci per aiutare i 5Stelle e la destra. Il Pd senza sinistra non può esistere. E il posto giusto per la sinistra è esattamente il Pd. Io non credo a nuove forze politiche alla sinistra dei Democratici. Quindi no alle scissioni. Per me sinistra significa migliorare la vita reale dei cittadini, avendo come bussola la lotta alle disuguaglianze. Perciò è giusto che la sinistra sia protagonista in un grande partito come il Pd".

Alza la voce anche Gianni Cuperlo. "Non è questione di resa dei conti, ma di come si tiene assieme e si rilancia un progetto comune. Colpiscono l’ astensione mai così alta e le conseguenze delle divisioni a sinistra. Serve una riflessione seria che deve partire da Renzi". Il leader di SinistraDem in un’intervista al Corriere della Sera dice di pensare "a un Pd largo, che costruisce dei ponti con quanto di buono vi è fuori da noi. Guai a spezzare il filo anche con chi è critico ma vuole una sinistra solida e unita". Precisa quindi che la scissione non è il suo "obiettivo", e che vorrebbe un governo "un po' più di sinistra e un po' meno partito della Nazione. Io non voglio tornare al Pd di ieri, lavoro per un Pd ancorato alle ragioni di una sinistra innovativa. Ma se ci troviamo in questa condizione qualche domanda dobbiamo farcela"; conclude quindi dicendo che "la vecchia ditta non esiste più e io non soffro di nostalgia. Temo che evocare la ditta di prima sia un modo per guardare la realtà a occhi chiusi".

Sprezzante Stefano Fassina: "Ora Renzi deve cambiare radicalmente rotta, non a chiacchiere. A cominciare dalla scuola, con lo stralcio delle assunzioni degli insegnanti e l’apertura di un confronto vero sui presidi". L'esponente della sinistra dem che sollecita l’entourage del segretario Pd ad una "analisi corretta del voto e non quella strumentale ed infondata cui stiamo assistendo in queste ore. Sono patetiche fino all’autolesionismo -sottolinea Fassina- le spiegazioni renziane di queste ore.

Non c’è solo la Liguria, dove il Pd ha perso: c’è il peggior risultato della storia in Veneto, c’è la vittoria di stretta misura in Umbria, c’è il crollo di partecipazione in Toscana. È evidente il messaggio politico: una parte significativa del popolo democratico respinge la svolta liberista e plebiscitaria di Renzi".

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