Nelle mani dei filoiraniani la base Usa da cui partivano i droni. E l'Arabia schiera le truppe

Lo Yemen fu indicato da Obama nel settembre del 2014 come un grande successo della campagna antiterrorista degli Stati Uniti, un punto fermo della sua strategia. Certamente quello che accade oggi mette in luce la politica obamiana, ma alla rovescia. Ovvero, proprio lo Yemen sta diventando, dopo la Siria e l'Iraq, la nuova miccia di un conflitto gigantesco.

Il Paese è situato su un nodo strategico petrolifero e mercantile, dallo stretto di Bab al Mandab passa il 40 per cento del traffico marittimo, si controlla da là il canale di Suez, lo stretto separa per soli venti chilometri la Penisola Arabica dall'Africa orientale e collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden. Le ultime notizie ci dicono che i ribelli Houthi, ovvero la vittoriosa milizia sciita sostenuta dall'Iran muove a grandi passi verso lo stretto, appunto, nelle ultime ore hanno preso il controllo della base militare di al Anad vicina ad Aden che era stata evacuata solo pochi giorni fa dai cento uomini delle forze speciali americane a causa del deteriorarsi della situazione. Addio dunque agli strike con i droni.

Nel frattempo, arrivano i sostituti: nel porto di al Saleef, il secondo dello Yemen, una nave iraniana ha scaricato 180 tonnellate di armi, mentre gli Houthi hanno preso il controllo dell'aeroporto nella città di Taez, vicino a dove si è rifugiato il presidente riconosciuto dall'Onu, Abed Rabbo Mansour Hadi, sunnita, che chiedeva una no fly zone . Sunnita è anche come è noto, l'Arabia Saudita, che ha mosso sul confine mezzi militari pesanti inclusa l'artiglieria. Non solo per gli Houthi: è l'espansione imperialistica dell'Iran che tramite loro, occupando Sanaa, si è impossessato della quarta capitale che controlla: oltre a Teheran, anche Damasco, dove l'Iran regna tramite gli hezbollah e Assad; Beirut, dove gli Hezbollah fanno il suo giuoco; e naturalmente Bagdad. La stampa saudita nei giorni scorsi ha criticato la politica dell'amministrazione americana come «distruttiva», «idiota», «pericolosa» e «di scarsa prospettiva». La stampa saudita sostiene che poiché Obama cerca un accordo sul nucleare con l'Iran non gli importa di pagare qualsiasi prezzo per la sua gloria personale, e lo lascia fare. Il commentatore di Al Hayat di Londra, Khaled Al Dahil, dice che «la politica americana nella regione è distruttiva».

Certo, l'apertura all'Iran nasce anche dalla volontà di Obama di combattere Al Qaida e l'Isis, ma, ancora una volta, e lo si è visto dall'attentato sunnita di qualche giorno fa che ha fatto 170 morti, la politica che tenta di utilizzare sciiti contro sunniti è una latta di benzina su un pagliaio: la guerra può diventare

immensa, a causa dell'imperialismo iraniano. Peccato, quando ci sarebbero forze arabe moderate come Al Sisi e il re Abdullah e anche al momento i monarchi sauditi pronti a combattere in proprio, da sunniti, la guerra anti Isis.

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