"Nemmeno lo sport è immune. Viviamo col nemico invisibile"

Il conduttore di "Tiki Taka": "Tutti sotto choc come i tifosi. Il virus si è portato via mia madre e sconvolge le nostre vite"

"Nemmeno lo sport è immune. Viviamo col nemico invisibile"

«Siamo sotto choc come credo la maggior parte dei tifosi italiani. È una situazione surreale». Piero Chiambretti il Covid 19 lo conosce da vicino, vicinissimo. Lui lo ha affrontato e sconfitto, ma il maledetto virus ha lasciato un segno indelebile nella sua vita, portandosi via sua madre. Ora dopo il boom di positivi in casa Genoa, da tifoso e appassionato, ancora prima che da conduttore di Tiki Taka su Italia Uno, se lo ritrova di fronte come incubo che aleggia sul campionato che già trema e teme un nuovo lockdown. «Questo dimostra che il Covid non è assolutamente lontano dalle nostre vite e il calcio, pur essendo uno degli ambiti più protetti della società, non è immune da problemi».

Con tanti contagiati, anche prima del caso Genoa.

«È vero che ne basta uno positivo per contagiare tutti ma mi chiedo come sia possibile che giocatori tamponati prima e dopo le partite, con una vita privata abbastanza rigorosa, possano essersi infettati con un virus così grave. Per fortuna oggi a differenza di quando l'ho preso io oggi la gestione del Covid sembra meno complessa».

Che fare ora? «The show must go on» come al solito?

«Al momento bisogna navigare a vista sapendo che il mondo è cambiato e lo scenario nel quale oggi viviamo è cambiato. Dobbiamo convivere con un nemico invisibile sempre intorno a noi. Per il calcio come la scuola, gli uffici o ogni altra attività bisogna sapere che il problema esiste ed è sempre dietro la porta. Anche del portiere. Tra i problemi che una squadra deve affrontare non ci sono quelli del pallone ma del tampone».

E il campionato rischia di essere falsato sin da subito.

«Da tempo dico che le panchine lunghe e le squadre rafforzate potranno cambiare l'evolversi del campionato. Falsato non lo so ma di certo non è un campionato sereno. Già vedere uno stadio vuoto... Poi se il Genoa sabato col mio Torino sarà costretto a giocare con le riserve è chiaro che la partita sarà falsata e non è giusto».

E uno stop di un paio di settimane al campionato?

«Rinvierebbe soltanto il problema a tra due settimane quando ricominciando gli allenamenti e i giocatori torneranno a incontrare parenti o persone che gli gravitano attorno. Finché non ci sarà il vaccino non ci sarà una certezza scientifica per cui un calciatore, uno sciatore o un ingegnere o un commercialista nonostante facciano attenzione possano essere vittime del coronavirus».

Si dice che il calcio funga da esempio per la società, buono o cattivo che sia. In questo caso è un monito per tutti.

«Credo che quello che è successo al Genoa sia un pugno nello stomaco anche per quelli che negano l'utilità della mascherina o addirittura l'esistenza del virus. Credo che sia un grande monito nei confronti della popolazione calcistica ma anche di quella che il calcio non lo segue. Sono vicino personalmente al Genoa ma anche a tutti quelli che non c'entrano col calcio e che devono combattere tutti i giorni questo nemico, questo fantasma, questo incubo».

Da professionista, il carrozzone calcio deve andare avanti o passa un po' la voglia di parlare di ciò che solitamente dà gioia?

«Si va avanti perché la vita va avanti e non si deve abbassare la testa così come la guardia. Certamente lo spirito con cui si fanno le cose è diverso. Meno partecipe, meno entusiasmante e tutto distaccato. Anche i fatti della domenica arrivano più ovattati.

Juventus-Napoli della prossima settimana in una situazione normale fermerebbero il Paese. Mentre adesso il Paese si guarda alle spalle e guarda alla partita come un'evasione. Ma con uno spirito che non è più quello di un tempo».

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