Il no al gas pagato in rubli divide il fronte dei Paesi Ue

Bruxelles avverte: così si violano le sanzioni. Ma l'Ungheria si smarca e altri 10 Stati si preparano

Il no al gas pagato in rubli divide il fronte dei Paesi Ue

Quella sul gas sta sempre più diventando una partita a scacchi fra Russia ed Europa. Per quanto azzardata, la mossa di chiudere i rubinetti del metano a Polonia e Ungheria, con la successiva minaccia di estendere il blocco all'intero continente, indica che Mosca, per prima, punta allo scacco matto. Anche a costo di privarsi di un pacchetto di entrate miliardarie. Lo scopo è evidente: dividere. L'Ue non è mai stata, causa interessi spesso divergenti, un esempio di coesione. Il gas, data la dipendenza di Paesi come Italia e Germania, mette a dura prova la capacità di reazione di un corpaccione lento a decidere, per natura, come quello comunitario. C'è infatti già chi, come Antonio Tajani, avverte il pericolo di uno sfilacciamento: «Sui pagamenti l'Ue vada avanti unita», ha detto l'eurodeputato e coordinatore nazionale di Forza Italia.

Già incassato il defilarsi dell'Ungheria, ora Vladimir Putin conta d'indebolire il fronte grazie a quella specie di matrioska valutaria creata per pagare le forniture di gas. Il doppio conto in rubli ed euro (o dollari) da aprire presso Gazprombank sembra infatti aver lasciato ampi margini d'interpretazione, rispetto alla violazioni delle sanzioni, a quelle aziende tedesche, austriache, ungheresi e slovacche che pensano di aderire al meccanismo di change over. Il Financial Times citava ieri due imprese, la Uniper di Düsseldorf e la Omv di Vienna, convinte che sarebbero rispettate le misure di ritorsione anche in caso di assoggettamento al diktat del Cremlino. Una fonte vicina a Gazprom interpellata da Bloomberg ha invece parlato di «quattro acquirenti di gas europei che hanno pagato in rubli e di dieci che hanno aperto i conti presso Gazprombank». Possibilità che l'Eni non ha al momento escluso.

Il problema è che, per settimane, Bruxelles non ha mai fatto chiarezza e che sulla questione manca un pronunciamento ufficiale. Un passo in avanti c'è però stato ieri, quando il portavoce della Commissione, Eric Mamer, è andato al cuore del problema: «La domanda che viene posta è se rispettare il decreto (quello che contiene il regime di pagamenti a doppio binario introdotto da Mosca, ndr) violerebbe le sanzioni. La risposta chiara è sì, e stiamo stanno dando linee guida agli Stati membri per spiegare il perché». Parole che non sembrano lasciare spiragli, in futuro, ad azioni tese a bypassare le maglie sanzionatorie. Rafforzano il concetto fonti europee: «Aprire un conto in euro si può, ma non in rubli». Chi ha però giocato d'anticipo potrebbe però farla franca, con ciò corroborando il timore espresso da Tajani di una «concorrenza sleale tra gli Stati». Non potendo rinunciare al metano russo (40% delle importazioni), il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha spiegato che l'Italia punta «sull'imposizione di un tetto massimo al prezzo», sceso ieri a 100 euro al megawattora (-6%).

Per diversificare le fonti di approvvigionamento, l'Ue intende assegnare al Gpl un «ruolo chiave per ridurre la dipendenza da Mosca», ha spiegato il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans. Un processo di transizione comunque non rapido, mentre incombe lo spettro di uno stop dell'approvvigionamento di gas russo. In tal caso, «la maggior parte dei Paesi europei non raggiungerebbe l'obiettivo del livello di stoccaggio dell'80% o del 90% il 1° ottobre», scrive in una nota Entsog (Rete europea dei gestori dei sistemi di trasporto del gas). Lasciando così presagire il rischio di razionamenti che impatterebbe su famiglie e imprese e, quindi, sulla crescita economica.

Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, parla infatti, in caso di blocco, di «una recessione moderata in Italia nei prossimi due anni che dovrà essere contrastata dalle politiche di bilancio». Sempre che l'Europa ce lo consenta.

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