"Non parlò di Kiev". Mollato dall'alleato Putin è lo sconfitto. (Ma Taiwan trema)

Pechino "scarica" Mosca e il presidente Usa non cita Taipei. Alla ricerca di un'intesa

"Non parlò di Kiev". Mollato dall'alleato Putin è lo sconfitto. (Ma Taiwan trema)

Stati Uniti e Cina mostrano a Bali un volto sorridente, dopo le bordate retoriche dei mesi scorsi, che avevano raggiunto l'apice con la visita di Nancy Pelosi a Taiwan. La stretta di mano tra Joe Biden e Xi Jinping consegna al mondo se non una rinnovata intesa, come ai bei tempi della globalizzazione trionfante, almeno una tregua tra le due superpotenze. Da settimane, in vista dell'incontro indonesiano, Washington e Pechino erano state molto attente a evitare toni accesi sui dossier più scottanti, non solo Taiwan, ma anche i rapporti commerciali e, soprattutto, l'Ucraina, nonostante la continuata ambiguità cinese in sede Onu. Entrambi i leader, alle spalle le incombenze elettorali - poco più di una formalità, ma non priva di insidie, quella di Xi, un'insperata (mezza) vittoria quella di Biden - si sono presentati sul palcoscenico internazionale da una posizione di forza, rispetto agli avversari. Liberi di potersi esprimere a tutto campo, senza correre il rischio di mostrarsi deboli davanti alle rispettive opinioni pubbliche.

Ecco così che a Vladimir Putin è riservato il ruolo non solo di grande assente, ma anche di grande sconfitto. Mai come in queste ore, l'isolamento internazionale del leader russo è apparso più evidente. Poco prima del vertice Biden-Xi, Pechino ha fatto trapelare attraverso il Financial Times che Putin, lo scorso 4 febbraio, in occasione del suo incontro col leader cinese ai Giochi Invernali «non disse la verità» sull'imminente invasione dell'Ucraina. È stata l'avvisaglia di quanto la Cina fosse ormai pronta a scaricare l'«amico russo». La conferma è arrivata poco dopo. Al termine del bilaterale di tre ore, la Casa Bianca ha fatto sapere che Biden e Xi hanno concordato sul fatto che «una guerra nucleare non dovrebbe mai essere combattuta» e hanno condannato la minaccia dell'uso di armi nucleari in Ucraina da parte della Russia. Stesso concetto rilanciato dal ministero degli Esteri cinese: nel colloquio con Biden, «Xi ha affermato che la Cina è molto preoccupata per l'attuale situazione in Ucraina» e che «bisogna evitare il confronto tra grandi potenze».

Per Washington è un innegabile successo diplomatico, che dovrebbe trovare conferma non solo a livello bilaterale, ma anche nel G20. Nella bozza del comunicato finale del vertice, secondo le anticipazioni, ci sarà un passaggio proprio sulle armi nucleari, che definirà «inaccettabile» l'impiego. È anche per questo che Biden, incassato il bonus sull'Ucraina, si è mostrato conciliante con Xi sulla questione di Taiwan. La politica americana sull'Unica Cina «non è cambiata», ha ribadito il presidente, che in conferenza stampa ha detto di non ritenere possibile un «tentativo imminente» di invasione dell'isola. Toni ben diversi da quelli di qualche settimana fa, quando il Pentagono faceva trapelare sui media Usa i piani per «riempire di armi» Taiwan in vista di un probabile blocco navale cinese, preludio a un'invasione. E se Xi ha parlato della questione come di una «linea rossa che non deve essere superata», Biden si è ben guardato in conferenza stampa dall'impegnare pubblicamente gli Usa nella difesa militare dell'isola, come fatto invece nei mesi scorsi.

È presto per dire se Washington e Pechino siano avviate verso una normalizzazione dei rapporti, quella «competizione responsabile» auspicata da Biden. «Il mondo è abbastanza grande per prosperare insieme», gli ha fatto eco Xi. Al di là dei sorrisi esposti a Bali, nell'ultimo documento sulla Strategia di sicurezza nazionale il Pentagono indica proprio la Cina come l'avversario più pericoloso degli Usa nel XXI secolo. Tanti, oltre a quelli militari, sono i dossier aperti tra le due superpotenze. Probabilmente ne discuterà il segretario di Stato Antony Blinken nella sua prossima visita a Pechino, annunciata ieri.

Biden ha ancora in mano la leva del dazi Usa sulle merci cinesi, imposti all'epoca da Donald Trump. Un parziale ritorno alla normalità anche su quel fronte, ridarebbe fiato alla produzione industriale cinese e potrebbe alleggerire il peso dell'inflazione negli Stati Uniti.

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