Nordio dai detenuti di Rebibbia. "Le carceri obsolete vanno cedute"

Il guardasigilli loda i progetti di recupero: "Pure in cella può rinascere la cultura del lavoro. Ora strutture nuove"

Nordio dai detenuti di Rebibbia. "Le carceri obsolete vanno cedute"

Politica e arte entrano dentro un penitenziario nello stesso giorno. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in visita ieri al carcere romano di Rebibbia, ha lanciato un messaggio forte ai detenuti, partendo dall'ala che ospita i laboratori di sartoria, i corsi da orafo, la falegnameria, l'ala dedicata alla digitalizzazione e alle attività di call center per l'Ospedale pediatrico Bambino Gesù. A Rebibbia esistono infatti varie convenzioni per il reinserimento lavorativo dei detenuti, e una di queste è la gestione delle prenotazioni sanitarie.

Alcuni di quelli che frequentano i percorsi di artigianato hanno regalato a Nordio un timbro con le sue iniziali. Uno anche per il capo del Dap, Giovanni Russo. Un inno alla cultura del lavoro che per il ministro «può essere coltivata» anche dietro le sbarre, da vivere come «strada primaria» per la rieducazione e per la consapevolezza del reato. Partendo poi dagli spunti del film di Riccardo Milani, «Grazie Ragazzi», girato con Antonio Albanese nei penitenziari di Rebibbia e Velletri, e proiettato ieri nel Teatro Libero del carcere, la direttrice della casa circondariale davanti al Guardasigilli parla di «gente che sa di aver sbagliato che chiede nuove possibilità». Rebibbia punta cioè a «restituire alla società al termine della pena un cittadino migliore di quello ricevuto», dice Rosella Santoro.

Carcere non solo come «luogo di detenzione sicuro», ma pure come «strumento di recupero». Il film allarga il dibattito al ministro Nordio, che ipotizza «regolamenti nuovi per favorire la differenziazione tra chi si è macchiato di un delitto di una certa gravità e chi invece di un reato meno grave». Lo dice, forse, anche consapevole del fatto che pure la compagna dell'anarchico Alfredo Cospito, Anna Beniamino, è reclusa a Rebibbia. Poi traccia la rotta: «Orientarsi verso il potenziamento di queste strutture moderne, quelle antiche sono incompatibili con la vita in comune». E infine la proposta: «Si potrebbero cedere le carceri obsolete, che sono anche in zone centrali, ma ci sono difficoltà quasi insormontabili, come la sdemanializzazione. E poi c'è la difficoltà di costruire carceri nuove». A Rebibbia sono convinti che un risultato si ottenga con attività formative e sportive («Avversiamo l'ozio e il non fare»). E se il film è testimonianza di quanto l'arte possa essere fattore di libertà, il Teatro Libero ne è la prova. Nordio viene interpellato anche da un detenuto: scontare la pena, certo. Ma in un penitenziario che non può essere solo afflittivo. I numeri del Teatro Libero di Rebibbia parlano da soli: coinvolti oltre 600 carcerati da inizio attività, con la conseguenza positiva che il tasso di recidiva fra i detenuti impegnati sul palcoscenico, ma pure dietro le quinte, si è drasticamente ridotto. Il potere dell'arte, da un lato; quello esercitato dalla politica, dall'altro. Certo, recitare in carcere non vuol dire fare ciò che si vuole: né libertà al 100%. «Il garantismo ha un duplice volto, garantire la presunzione di innocenza e non lasciare impunito il delitto», sostiene Nordio. Ma chi ha sbagliato prova a riscattarsi. Albanese nel film dice che recita «Aspettando Godot con dei detenuti che non sanno neanche chi è Beckett». E forse è questo il bello.

«Ho visto cose straordinarie qui dentro, come in altre carceri italiane - chiosa Nordio - Qui fanno anche la torrefazione del caffè, quando sono entrato io in magistratura sarebbe stato inimmaginabile. Non servono solo ad ammazzare il tempo, ma a prepararle a un lavoro, coniugando ciò che si impara in carcere con ciò che si può fare una volta espiata la pena. No al marchio di infamia a vita».

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