G iuseppe Conte, «giuringiurista». Nonché premier tecnico «non eletto» in pectore.
Proprio mentre tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio si svolge, dietro le quinte, l'ultimo furioso braccio di ferro sulla guida del governo, sui social spunta il profilo fake del grigio professore pugliese, inopinatamente proiettato dalle rispettive impotenze dei due leader politici ai vertici di una politica fin qui molto corteggiata (Conte è stato via via prodiano, poi renziano, poi recentemente fulminato sulla via di Damasco dalle doti di Di Maio) ma poco frequentata. Il profilo fake è esilarante, ora si attende di sapere come sarà l'originale.
Ammesso che sia davvero lui, alla fine, l'incaricato. Perché ieri sera dal Quirinale è arrivato un secco colpo di freno alle ansie dei dioscuri di governo. Le voci sulle forti perplessità del Colle su un premier debole e non politico si rincorrevano da giorni. Ma nonostante i disperati tentativi di Di Maio di insediarsi a Palazzo Chigi, la resistenza di Salvini è stata strenua. E alla fine ha pagato: nel tardo pomeriggio, dopo un ennesimo teso faccia a faccia, i due salgono per l'ennesima volta al Quirinale e a turno mettono sul tavolo un nome secco: Giuseppe Conte.
Nelle dichiarazioni ufficiali all'uscita non lo dicono, ma appena scantonato dal Colle Di Maio si affretta a spargere la voce per primo, in modo da mettere il cappello sul nome di ripiego che ha dovuto ingoiare. «Un momento storico, sono molto orgoglioso - declama, ingarbugliandosi un po' - Conte sarà un premier politico di un governo politico, indicato dalle forze politiche con figure politiche».
Salvini al Quirinale fa un discorsetto moderato, dando persino assicurazione all'Europa che «nessuno ha nulla da temere dal nostro governo», poi esce e spara a zero in un comizio via telefonino, descrivendo la fame e la miseria provocate dalla Ue e soffermandosi a lungo sull'uso di psicofarmaci, argomento che lo appassiona. Nel frattempo, leghisti e grillini spargono ai quattro venti i nomi dei loro ministri, ignorando i passaggi costituzionali che prevedono sia il premier incaricato a proporre la lista al capo dello Stato.
Salvini si sente già al Viminale, all'Economia vuole il professore anti-Euro Paolo Savona, il quale si mette prontamente «a disposizione», o il fido Giorgetti, in pole anche come sottosegretario di Palazzo Chigi: chiaro segnale, insieme al protagonismo mediatico salviniano e al programma a forte impronta leghista imposto agli alleati, che per Di Maio potrebbe essere assai difficile riuscire a farsi notare (all'improbabile - per lui - ministero del Lavoro) in questo sospirato «governo del cambiamento».
Ma qualcosa si inceppa, come si capisce a sera quando dal Colle trapela che ci saranno consultazioni dei presidenti della Camere e nessun immediato incarico. Mattarella prende tempo, fa filtrare la propria irritazione per quel tronfio annuncio («La squadra è pronta») dei suoi interlocutori, e l'allarme per i conti pubblici e i risparmi (che, ad esempio, un ministro dell'Economia anti-euro metterebbe a dura prova).
E soprattutto fa capire che il futuro premier non può essere un pupazzo piazzato lì da Di Maio e Salvini per eseguire i loro ordini, perché per Costituzione è colui che «dirige» la politica del governo. Per Conte inizia una lunga, difficile notte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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