Dovevamo capirlo fin dall'inizio, da quel comunicherò col mio stile. Frase con cui Christine Lagarde, di fresca investitura alla guida della Bce, aveva da subito voluto marcare uno iato rispetto al modus comunicandi di Mario Draghi. Quello sempre stringato e tecnico, persino un poco ingessato nel lessico. Ma è da quel dire per sottrazione che si è poi dispiegata la potenza salvifica del Whatever it takes. Col suo stile, la capa della Bce continua invece a combinar disastri.
A Madame molti attribuiscono un'indubbia abilità politica, riconoscimento peraltro non suffragato dall'infausta esperienza come ministro francese dell'Economia. È il 2008 quando sembra destinata a finire nel tritacarne: l'imprenditore Bernard Tapis fa crac, lei è presa in mezzo. Tre anni dopo, però, i giudici la fanno cadere in piedi: è colpevole di negligenza, ma la fedina penale non si macchia. Erano i tempi di Nicolas Sarkozy all'Eliseo. Erano gli anni di Christine in versione Biancaneve con sfumature masochiste: Fai di me ciò che vuoi, scrive al suo Sarko. Attrazione fatale verso il potere. Anche ora che ha messo a ferro e fuoco i mercati con la supercazzola sullo scudo anti-spread, girano voci che la vorrebbero premier di Francia. Lo sponsor sarebbe proprio Nicolas, che ne apprezza la naturale attitudine ad ascoltare tutti. Che, poi, rischia di essere il difetto capitale di chi stenta ad avere idee proprie. Christine, nata Lallouette, fatica a manifestarle. Da sempre.
Forse colpa di quelle lacune curriculari, mai colmate dopo la laurea in scienze politiche e il fallito approdo all'ENA. Di economia mastica quel che ha imparato allo studio legale Baker&McKenzie, di cui diventò presidente nel 1999. Ai tempi, in Francia, la chiamavano l'Americaine, e non per farle un complimento. Intelligente, un sorriso accattivante ma con la stessa rigidezza plastificata di chi ha praticato il nuoto sincronizzato, è sempre stata capace di fiutare da che parte tira il vento. Fino al punto di scalare, gradino dopo gradino, la sua personale stairway to heaven. Prima della Bce, c'era stato il Fondo monetario internazionale. Con Christine, il "pink power" veniva issato per la prima volta, anche grazie al priapismo di Dominique Strauss-Khan, sulla plancia di comando di una delle più potenti organizzazioni internazionali. Non furono anni memorabili. Di quell'inclinazione perpetua a cambiare carreggiata ne sanno qualcosa i greci. Dopo aver aperto i cordoni della borsa all'Argentina con un prestito non rimborsabile, Madame si impuntò, fra insulti reciproci (l'ellenico «Criminale» contrapposto al lagardiano Non fate i bambini), sulla proroga di una tranche di prestiti che Atene doveva restituire al Fmi. Il default venne sfiorato, e solo dopo arrivò il mea culpa: Abbiamo commesso un errore evidente nel calcolo dei moltiplicatori. Tradotto: non abbiamo capito una mazza sugli effetti pesantemente recessivi dell'austerity. Con la stessa frequenza dei suoi tailleur Chanel d'ordinanza esibiti in pubblico, questa tendenza all'errore ha accompagnato Lagarde in tutto il suo percorso professionale. Dallo sfondone sulla crisi dei mutui subprime (Il peggio è dietro le spalle), fino a quello sull'inflazione (È un fenomeno temporaneo). Il Covid l'ha, come dire, aiutata a non terremotare l'eurozona anzitempo grazie al varo del Pepp da 1.850 miliardi. Ma prima della pandemia, causa originaria di innesco dell'inflazione, pareva già essersi appuntata al bavero della giacca la spilla coi colori della Germania.
Si annusava l'odore di abiura del quantitative easing di SuperMario da quel non siamo qui per ridurre gli spread del marzo 2020. Da non derubricare a rango di cazzata, tipo la gaffe da Maria Antonietta con l'invito rivolto ai francesi, nel 2007, a usare la bicicletta contro i rincari della benzina. Quelle parole erano una scelta di campo. Ora, comme d'habitude, ci risiamo. Oltre ad accelerare il processo di normalizzazione della politica monetaria, viene di fatto tollerato l'allargamento degli spread.
Con ciò rendendo più impervia la strada dell'aggiustamento dei conti pubblici, esponendo Eurolandia al rischio di recessione e alimentando le spinte anti-euro. Il dolce stilnovo della Lagarde sembra già far rima con crisi del debito sovrano 2.0.
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