La protagonista dell'estate è la variante indiana, ribattezzata Delta, che sta portando gli stessi timori e ipotesi vissute da metà dicembre con la variante inglese (Alpha) ma, vista la buona stagione e la disponibilità dei vaccini, i numeri di ospedalizzazioni e morti sono molto meno gravi. In Italia si è passati in un mese dal 4,2 per cento di contagi, causati dalla Delta, al 16,8 per cento dei dati preliminari dell'Iss ma per gli esperti sarà dominante a breve.
Scoperta a ottobre nel Maharashtra, stato dell'India Centro-Occidentale, la variante è identificata come B.1.617. La sua caratteristica principale è che presenta due mutazioni E484Q e L452R, quest'ultima corrisponde a una modifica individuata anche nella variante californiana (B.1.427), che interessa la proteina spike e è legata all'aumentata contagiosità del coronavirus. La mutazione E484Q potrebbe invece incidere sulla capacità di «dribblare» la risposta immunitaria. Infatti, secondo una circolare del ministero della Salute la variante è del 40-60 per cento più trasmissibile rispetto alla Alpha e può essere associata a un rischio più elevato di ospedalizzazione.
La variante Delta fa in realtà «famiglia», con altre due meno preoccupanti (si chiamano Kappa) ma con una sotto osservazione (Delta Plus), che si distingue soprattutto per una mutazione, la K417N, presente nella variante Beta (Sudafricana). Anche questa mutazione interessa la proteina Spike. In generale i sintomi della variante indiana sono di solito più forti e spesso anche i tempi di guarigione ne risentono: tosse, raffreddore, mal di testa e mal di gola, febbre, dolori muscolari, diarrea, stanchezza e spossatezza.
L'estate e i vaccini sono i punti di forza nella lotta contro il virus e l'appello che arriva da più parti è di potenziare il sequenziamento, al fine di individuare presto eventuali focolai. Per il momento in diverse nazioni, a cominciare dal Regno Unito, i casi stanno aumentando di nuovo e con essi spesso le ospedalizzazioni, che però riguardano soprattutto giovani non vaccinati e chi ha ricevuto solo la prima dose. In Israele è stato reintrodotto l'obbligo della mascherina al chiuso mentre nell'area metropolitana di Sydney è scattato un lockdown di due settimane.
In Italia per il momento i numeri sono bassi e si punta alla vaccinazione. «È inaccettabile - denuncia Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive Ospedale San Martino di Genova - che in un momento come questo l'Italia rimanga all'1 per cento dei casi sequenziati, dobbiamo arrivare anche al 10. Serve sequenziamento e genotipizzazione dei casi registrati. Puntare sul tracciamento soprattutto di chi arriva dall'estero». Infatti, secondo il report del Centro europeo Ecdc, questa variante determinerà il 70 per cento delle nuove infezioni entro l'inizio di agosto e il 90 entro la fine. E gli strumenti per contrastarla sono il sequenziamento e il vaccino. Nel caso della variante Delta i problemi si riscontrano soprattutto per chi ancora deve fare la seconda dose di vaccino, perché chi ha ricevuto la prima può infettarsi e anche ammalarsi. I dati di uno studio scozzese su The Lancet e ora del Public Health England (Phe) dicono che la prima dose di Pfizer protegge contro il contagio di Delta per il 33 per cento e per l'ospedalizzazione al 94 mentre Astrazeneca per il 33 e il 71; con la seconda dose i numeri migliorano, perché si sale con Pfizer all'88 per cento contro la malattia sintomatica (-79 per cento di rischio contagio) e al 96 per il ricovero e con Astrazeneca al 64 contro i sintomi (-60 rischio contagio) e al 92 per l'ospedalizzazione. Per questo si sta cercando di accelerare i richiami, privilegiando gli over 50, più a rischio dei giovani.
«È importante progredire il più veloce possibile con la campagna vaccinale. Una sola dose di vaccino non copre adeguatamente, va completato il ciclo vaccinale, per ottenere la giusta protezione», evidenzia Franco Locatelli, coordinatore del Cts e presidente del Css.
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