Il giornodei salafiti del Palato Raffinato è vicino. Sventolerà il loro truce vessillo: una mezzaluna da cucina e tre stelle Michelin. Poi imporranno la sharia contro la blasfemia gastronomica: tre forchettate nelle natiche per ogni surgelato pigramente consumato a cena, dieci se la bottiglia di vino aveva il tappo a vite. Ma se il peccato è l'idolatria del fast food, la pena sarà la defenestrazione dalla Terrazza Martini.
Paradossale, ma neanche poi tanto. L'iconoclastia di chi protesta contro la «M» di McDonald's troneggiante sul sito Expo di Rho è solo un altro fondamentalismo. Sacrilego, si obietta in maniera un po' «no globaleggiante», che sia la mefitica lettera gialla a dare il benvenuto sin dall'autostrada. E la lista delle motivazioni della fatwa è lunga.
Punto primo (o dei buongustai): è junk food indegno di una fiera del cibo. Come se ci fosse un esame da superare, la patente per manicaretti meritevoli. Ma poi chi decide cosa fa schifo? Il durian è un frutto tropicale così puzzolente che a Singapore è vietato portarlo in autobus e certe pizze fanno sembrare il bacon lieve come pinzimonio, ma nessuno boicotta frutta e capricciose per vendicare lo scempio delle papille gustative. Lo stomaco e mio e lo gestisco io, nessuno obbliga nessuno a ingozzarsi di patatine, però nessuno si azzardi a vietarlo.
Punto secondo (o dei terzomondisti): il Big Mac non esprime cultura e tradizione. A parte che la curiosità di confrontare le crocchette di pollo col pasticcio di coccodrillo dello Zimbabwe è legittima, chiedetelo a 320 milioni di yankee se l'hamburger è espressione della loro cucina. E poi, qui non stiamo parlando di un festival etnico, suvvia.
Terzo punto (o dei patrioti). La «M» fa ombra ai marchi italiani. Però lo spazio pubblicitario era in vendita, bastava fare un'offerta migliore. Poteva farlo una cantina delle Langhe o un caseificio sannita. Potevano metterci un immenso pomodorino pachino dop, al posto di quella «M», oppure una cozza pelosa grande quanto il mostro di Alien . È il mercato, dolcezza: chi ha più risorse ha più visibilità e - a meno di porre dei paletti ideologici - una multinazionale batterà sempre una realtà italiana. Perché nonostante sia stata spacciata per una vetrina del made in Italy alimentare, Expo è diminutivo di «Esposizione universale». E nessuno quanto McDonald's ha un impatto planetario sul cibo. L' Economist ha creato «l'indice Big Mac», si parla di «mcdonaldizzazione» dall'Arabia al Venezuela.
Certo, l'espansione si avvale di metodi intensivi da colosso economico, ma lo slogan di Expo è pur sempre «nutrire il pianeta». E con i filetti di cinghiale a km zero di Slow Food - è bene ricordarlo - al massimo ci si può nutrire un condominio a Brera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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