"Voglio delle precisazioni, dì la verità. Devi dire cosa hai detto". Maglioncino collo a "V" color crema da cui spunta una cravatta giallorossa. Camicia celeste. Giacca color marrone tenue. L'uomo che sta rivolgendo il quesito, il dito puntato per inscenare una moderna inquisizione, è Maurizio Mosca. Ha lasciato la sua postazione e ora agita le braccia, furente e divertito allo stesso tempo, negli studi televisivi di Tele Più 2. Processo di Biscardi. La coda di una lite epica. Situazione completamente sfuggita di mano. I protagonisti del furibondo alterco sono proprio lui, Mosca, Vittorio Sgarbi e il regista Pasquale Squitieri. Un trio che sta per dare origine ad un teatrino allucinante e alquanto appagante.
La scintilla parte da una luminosa constatazione di Mosca: "Non è vero che la gente non sopporta la ricchezza". Sì perché, premessa doverosa soltanto per chi fosse nato dopo il Duemila, al Processo di Biscardi non si parla mica soltanto di calcio. Gli ospiti filosofeggiano, la dissertazione inclina sovente verso i massimi sistemi, il tentativo è quello di dischiudere e discernere, orientare e sedurre, con interventi solonici.
La teorizzazione moschiana è un'esca gettata in uno stagno vorace. Basta un attimo e le acque si increspano. "Signori - irrompe Squitieri - ricordatevi che i poliziotti guadagnano due milioni al mese e rischiano la vita. E che cazzo. E che cazzo...". Apriti cielo. Sgarbi si riavvia il ciuffo e sogghigna. Proprio quello che aspettava: "Devo dire che per un attimo mi sono vergognato di esser stato uno dei suoi sostenitori nella campagna elettorale che l’ha portata in Parlamento. Ha detto una cosa che non pensa e l’ha detta soltanto per ottenere un applauso". La bagarre è servita, ma il critico d'arte tiene a precisare: "Un calciatore produce un’emozione identica a quella di un’artista e nessuno si stupisce che Picasso sia miliardario".
Segue l'espressione sconcertata di Squitieri, mentre Biscardi tenta inutilmente di riprendere le redini della trasmissione. Vittorio, per nulla sazio, rincara la dose: "Tu sei esattamente come Sandro Curzi, fai della retorica insopportabile. […] ma è inutile tirar fuori i poliziotti. Altrimenti tiro fuori che Picasso era uno stronzo, Raffaello era una merda e i poveri soldati sono degli eroi, che c’entra. Hai fatto un sacco di soldi con i film, non rompere i coglioni!". Apoteosi.
Il pubblico in studio non capisce più niente e ride abbondantemente. Quello da casa, pure. Dove altro sarebbe possibile assistere ad una tenzone così frivola e al contempo profonda? Si rialza Mosca, per prendere la parola. Pronuncia un confuso: "Piace a tutti, è inutile nasconderlo", riallacciandosi al suo pensiero di cinque minuti prima. "Stai seduto, per Dio!", lo implora il regista. Roba da teatro greco. Sofocle, fatti più in là.
Mosca però non ci sta e indicando Squitieri dice: "Con lui abbiamo fatto delle liti al Processo...". E qui arriviamo al climax: "Perché tu sei un leghista di merda", replica Squitieri. Qui la situazione precipita decisamente. Biscardi, disperato, finge che stia arrivando una telefonata in studio, ma nessuno lo ascolta. Mosca non ci vede più e si rivolge a Sgarbi: "Sgarbi, cosa hai fatto? Mi ha detto leghista di merda".
Vittorio, dal canto suo, getta propellente sullo show: "Gli hai detto regista di merda". E riecco Squittieri, rivolgendosi a Mosca: "Non toccare la merda, perché Sgarbi ci sguazza". Tutti gli interpreti sono visibilmente alterati, ma ridono anche. Una ossimorica scena da Oscar. "Lasciamo questi discorsi - prova a chiuderla Maurizio - comunque leghista non sono". A questo punto Biscardi non ne può più e sale in cattedra: "Maurizio non capisci, non capisci! Ti ha detto menefreghista!". "Menefreghista, sì", bluffa clamorosamente Squitieri.
Rieccoci a quell'indice puntato. Mosca si alza, volteggia letteralmente in studio, agita le braccia ed il corpo improvvisando movenze collocate a metà tra i segnali per l'atterraggio di un Boeing 737 ed un'esibizione di Roberto Bolle. "Lui mi ha detto, anche simpaticamente - giusto precisarlo - leghista di merda. Dì la verità, dì la verità". Seguono altri improperi da parte del regista. Poi la tragedia si chiude con chi l'aveva iniziata.
"Ho rispetto per tutti, ma giuro che non sono leghista. Tanto meno di merda". Sipario. Standing ovation. Una delle pagine più tragicomiche dall'invenzione del tubo catodico in poi. La lite più bella della tv italiana.
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