Non il raggiungimento di un comune obiettivo, raggiunto dopo una lunga e laboriosa trattativa destinata a portare - se li porterà - vicendevoli benefici ai due vecchi contendenti. Ma una rotonda «vittoria», come se al braccio di ferro tra il quasi nonagenario lìder maximo e il demonio capitalistico incarnatosi al di là del fatidico braccio di mare che separa Cuba dalla Florida sia stato il primo, infine, a prevalere.
Così i burbanzosi giornali del regime cubano hanno festeggiato ieri la svolta storica tra Cuba e gli Stati Uniti e il «successo» di Raul Castro che è riuscito a riportare in patria i tre agenti segreti detenuti negli Stati Uniti, in cambio della liberazione del contractor Alan Gross e di uno 007 della Cia. I tre spioni cubani costituivano il nucleo di una squadra specializzata nella raccolta di informazioni sulle basi militari Usa.
Il giorno dopo, il mondo si interroga sulla reale portata dell'accordo che segna, ad ogni buon conto, la fine di un'epoca. E il tono dei commenti, non solo in America, è tutt'altro che festevole. Sarà l'inaspettata subitaneità dell'annuncio; sarà il mancato rispetto di ogni diritto umano protrattosi per decenni; ma ci vorrà qualche risultato concreto per convincere il mondo libero che quella dell'altro ieri è stata davvero una buona giornata.
Davvero, ci si domanda, Cuba sta cambiando, e una sorta di «primavera» (per usare un termine abusato) si annuncia sui Caraibi e, come effetto secondario, su quel Sud America «anti-yankee» orfano di Hugo Chavez? Cambierà davvero, e come, la vita dei cubani? Davvero, se uno vorrà prendere un aereo e andarsene a vedere la Costiera Amalfitana, per dire, non dovrà dare spiegazioni a lor signori? E i dissidenti, i blogger e il vasto mondo, cattolico e non, tenuto finora ai margini da un regime occhiuto e punitivo per chi non era «fedele alla linea»? Cambieranno davvero, per loro, le prospettive di vita in un Paese in cui l'obbedienza al Verbo del Partito era - è - ancora un dogma? O l'accordo è, per buona parte, un'operazione di cosmesi che servirà forse a migliorare le relazioni economiche tra i due mondi, mantenendone inalterata la diffidenza?
C'è da sospettarlo, sentendo ventilare l'ipotesi di una prossima visita di Raul Castro alla Casa Bianca ma al tempo stesso chiarire da un sottosegretario che il rispetto dei diritti umani ««non condizionerà» i colloqui «per il ripristino delle relazioni diplomatiche» tra Washington e l'Avana. E sapete perché? Perchè la ripresa di quelle relazioni cui punta Obama «è un processo legale, o se preferite, un processo diplomatico, una procedura che sarà soprattutto tecnica». Appunto.
Sulle aspettative economiche e politiche del raggiunto accordo pone l'accento, per esempio, il New York Times . Mentre il Los Angeles Times legge il riavvicinamento Usa-Cuba come una strategia anti-Mosca, tesa a isolare sempre più la Russia.
Abbiamo concesso «tutto» e avuto in cambio «troppo poco», è il refrain della stampa americana, mentre il sindaco di Miami, il repubblicano Tomas Regalado, promette battaglia assicurando che non consentirà l'apertura di un consolato in città. Non sembra uno che parli a vanvera, il sindaco. E qualche motivo per dubitare della buona fede del regime cubano Regalado ce l'ha, essendo figlio di un giornalista che passò nelle galere cubane 22 anni di carcere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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