Oggi si metterà un primo punto fermo a quella che è destinata ad essere una partita ancora lunga. Dopo il primo vertice di maggioranza post vacanze in programma alle dieci di mattina a Palazzo Chigi e poi a seguire il Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni formalizzerà infatti l'indicazione di Raffaele Fitto come prossimo commissario europeo italiano. Una designazione che arriva nell'ultimo giorno utile a inviare la lettera formale a Bruxelles. E che è il primo tassello di una puzzle ancora da comporre nei dettagli. Intanto perché c'è ancora da capire quali saranno le deleghe affidate a Fitto, compresa l'eventuale vicepresidenza esecutiva a cui ambisce molto Meloni. Dovessero essere quattro vice esecutivi (Francia, Spagna, Italia e Polonia), la premier potrebbe validamente sostenere che il «no» di Fratelli d'Italia al secondo mandato di Ursula von der Leyen non ha compromesso il rapporto con la presidente della Commissione. Con cui ieri ha avuto un lungo colloquio Antonio Tajani, a Bruxelles per il Consiglio degli Affari esteri. Un incontro «cordiale» nel quale, spiega il vicepremier, «ho ribadito il mio sostegno al lavoro della prossima Commissione Ue». Sul tavolo soprattutto la situazione in Medio Oriente, l'Ucraina e il Venezuela. Ma è impossibile non si sia parlato anche delle deleghe che andranno a Fitto e della partita delle vicepresidenze esecutive. Anche perché Tajani è da tempo uno dei leader del Ppe e sta spingendo per un avvicinamento tra i Popolari e il gruppo dei Conservatori di Ecr con il quale è convinto si dovrà trattare nel corso della prossima legislatura europea su diversi dossier che andranno all'esame del Parlamento. E, sarà un caso o magari un auspicio, dopo il faccia a faccia con von der Leyen (e un incontro con la presidente dell'Eurocamera Roberta Metsola) Tajani ha detto ai giornalisti a Bruxelles di augurarsi che «si possa raggiungere l'obiettivo di avere una vicepresidenza esecutiva». «Teniamo presente che Forza Italia, la seconda forza politica della coalizione, ha sempre sostenuto von der Leyen. Non soltanto l'ha votata, ma si è impegnata fortemente per la sua elezione», ha aggiunto il vicepremier, convinto che «non ci sarà alcun danno all'Italia per il mancato sostegno di FdI a von der Leyen». «Il suo rapporto con Meloni è solido e consolidato nel tempo», ha concluso Tajani.
La partita, si diceva, è però ancora lunga. E un passaggio cruciale sarà l'esame dei singoli commissari da parte delle commissioni competenti del Parlamento Ue. Un esame non scontato. Ne sanno qualcosa la romena Rovana Plumb (S&D) e l'ungherese László Trócsányi (Ppe) che nel 2019 furono sonoramente bocciati. E forse anche guardando a questo passaggio Tajani ieri si è appellato al «buonsenso delle forze di opposizione del nostro Paese» che in Europa «dovrebbero sostenere il commissario italiano» come fece Silvio Berlusconi «quando fu candidato Paolo Gentiloni». Insomma, un invito a evitare sgambetti. E considerando che con 21 eurodeputati il Pd è l'azionista di maggioranza del gruppo dei Socialisti di S&D sarebbe già un passo avanti. Anche perché l'appoggio a Fitto del Ppe - anche dell'ala che ha spinto per l'intesa con i Verdi - non dovrebbe essere in discussione. E certamente è stato oggetto di confronto nell'incontro che il presidente dei Popolari Manfred Weber ha avuto martedì con Meloni. La premier ha infatti dalla sua non solo la presidenza di Ecr party ma anche la delegazione più numerosa (con 24 europarlamentari) dentro i Conservatori. E anche i tanti candidati commissari del Ppe dovranno passare per le forche caudine del voto in Parlamento. Proprio ieri, peraltro, intervistato dal Tg1, Weber non ha lesinato elogi a Fitto: «La decisione riguardo al prossimo commissario è questione nazionale e non farò commenti. Posso solo dire che Fitto è mio buon amico, ha esperienza e sa come funziona l'Europa».
Intanto, sempre sul fronte europeo, proprio Fitto è al lavoro per chiudere entro la prossima settimana - e con qualche mugugno dentro FdI - l'annosa questione dei balneari.
Un nodo non più rinviabile vista la procedura di infrazione e anche un modo per lanciare a von der Leyen e alla nuova Commissione un segnale di disponibilità su un dei dossier italiani che a Bruxelles considerano più critici. L'altro è il Mes, perché l'Italia resta l'unico Paese a non aver approvato il Meccanismo europeo di stabilità.
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