Omicidio Mollicone, tutti assolti Il grido nell'aula: "Vergogna"

Dopo 21 anni ancora nessun colpevole. Prosciolti i Mottola, che rischiano il linciaggio. Lo zio di Serena: non c'è giustizia

Omicidio Mollicone, tutti assolti Il grido nell'aula: "Vergogna"

Delitto di Arce: tutti assolti. «Vergogna» grida la folla. Ma anche applausi e pianti di gioia. «Finalmente la verità è venuta a galla», commenta Marco Mottola, l'accusato numero uno. Sentenza choc, al Tribunale di Cassino, al processo di primo grado per l'omicidio di Serena Mollicone avvenuto 21 anni fa. Dieci ore di camera di consiglio poi l'assoluzione della Corte d'Assise per insufficienza di prove per l'allora comandante dei carabinieri Franco Mottola, la moglie Anna Maria, il figlio Marco, il maresciallo Vincenzo Quatrale e l'appuntato Francesco Suprano tutti accusati di omicidio in concorso e istigazione al suicidio (tranne Suprano di favoreggiamento). Nonostante le perizie del Ris, la superperizia dell'anatomopatologa Cristina Cattaneo di Antropologia e Odontologia Forense dell'Università di Milano, la giuria non avrebbe ritenuto sufficienti le prove raccolte. Momenti di grande tensione nella piazza di fronte al Tribunale, dopo la sentenza: la famiglia Mottola ha subito un tentativo di aggressione da parte di decine di persone inferocite al grido di «assassini, assassini» e sono dovute intervenire le forze dell'ordine per allontanare la folla. «La giustizia non esiste, la verità è ben altra, non ci fermeremo», il commento di Antonio Mollicone, zio di Serena. La Procura di Cassino si prepara al ricorso: «Prendiamo atto della decisione, non potevamo fare di più». Sconfortato per le reazioni della gente l'avvocato Francesco Germani, legale dei Mottola. «È triste vivere in paese che non rispetta le sentenze».

Al termine del dibattimento la Procura aveva chiesto 24 anni di carcere per Marco Mottola, 30 per il padre Franco, 21 anni per la moglie Anna Maria, 15 per Quatrale e 4 per Suprano. Un giallo destinato a restare tale, caratterizzato da gravi errori giudiziari. Come l'arresto di Carmine Belli, il carrozziere di 38 anni accusato dell'omicidio nel 2003, rinchiuso in carcere per ben 19 mesi e scagionato in Cassazione. L'uomo avrebbe commesso un solo errore: entrare in quella caserma. Belli, credendo di aiutare nelle ricerche, si presenta dal maresciallo Mottola: «L'ho vista in strada», fa mettere a verbale. Viene indagato, processato e condannato in primo e secondo grado. Nel 2008 tocca al brigadiere Santino Tuzi che si spara alla tempia tre giorni prima di essere interrogato. Prima di morire il carabiniere dichiara che il primo giugno aveva visto una ragazza simile alla vittima entrare in caserma e non uscirne più. Serena si stava preparando per la maturità e in quella caserma non ci sarebbe finita per caso. «Voleva denunciare il figlio del comandante - raccontava il papà Guglielmo Mollicone poco prima di morire -. Ma è finita nella tana del lupo. Serena è stata ammazzata perché voleva far arrestare per spaccio Marco Mottola». Un delitto atroce. Il giallo comincia nel bosco dell'Anitrella, a 8 chilometri da Arce. È il 3 giugno del 2001, Serena è scomparsa da due giorni. Alcuni volontari della protezione civile trovano il cadavere in una zona già battuta dai carabinieri. Il corpo supino, la testa, con una ferita vicino l'occhio sinistro, è avvolta in una busta di plastica, mani e piedi legati con scotch e fil di ferro. Il naso e la bocca avvolti con nastro da pacchi. Nel 2016 il gip chiede la riesumazione della salma. Serena non è morta per lo sfondamento del cranio ma per asfissia. Per l'accusa la porta è quella dell'alloggio di servizio all'interno della stazione dei carabinieri. La controperizia del criminologo Carmelo Lavorino dimostrerebbe l'infondatezza sia della perizia del Ris che di quella della Cattaneo. Per Lavorino l'arma del delitto non può essere la porta della caserma perché la ferita sul sopracciglio sinistro della ragazza è a 146 cm da terra, mentre la frattura sulla porta a 154 cm.

Tesi contestata dal fatto che Serena, meno di 50 chili di peso, sarebbe stata sollevata durante la colluttazione. Insomma, la testa della Mollicone è stata sbattuta violentemente contro un oggetto contundente. Il colpo l'avrebbe stordita «poi la morte sarebbe giunta per asfissia».

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