Le scuse, invocate anche ieri da Luigi di Maio, non le ha sentite nessuno. In compenso, complice la notte, Emmanuel Macron ha alzato la cornetta e parlato con Giuseppe Conte. Non è stata una Canossa. Macron più che chinar la testa ha riepilogato le necessità di un vertice. «È il momento di lavorare insieme - ricorda il presidente francese - La ricerca di soluzioni, talvolta, passa attraverso tensioni quando non si è d'accordo, ma in ogni caso perseguo sin dall'inizio del mio mandato il desiderio di lavorare con l'Italia. Dall'altra parte del Mediterraneo bisogna agire in partnership perché abbiamo confini comuni». La verità è esattamente opposta, ma comunque palla al centro e avversari come prima. Almeno fine alla fine del pranzo di oggi a Parigi. Un pranzo in cui Macron e Conte dovranno inghiottire bocconi amari. Il piatto più pesante da digerire per entrambi resta quello dell'immigrazione servito in tavola con una serie di contorni particolarmente respingenti per l'una o l'altra parte. Difficile consumarlo, infatti, senza assaggiare i nodi di quella questione libica in cui Macron sembra più intenzionato a scippare all'Italia l'egemonia politico economica che non a collaborare per traghettare la nostra ex colonia fuori dal caos.
Il summit di Parigi di fine maggio - con cui il presidente francese ha approfittato del vuoto di potere italiano per prendersi il dossier libico, definire i tempi delle elezioni e porsi come ago della bilancia tra il premier di Tripoli Fayez Al Serraj e il generale Khalifa Haftar - è troppo fresco per illudersi della buona fede di Macron. Anche perché da lì discendono a cascata altri argomenti sgradevoli come lo stallo della missione di contrasto alla migrazione in Niger votata dal nostro Parlamento, ma bloccata dalle pressioni dell'Eliseo su una ex colonia chiamata a non intraprendere relazioni autonome con l'Italia. Per non parlare dei circa 9mila richiedenti asilo, mai transitati dall'Italia alla Francia, nonostante gli accordi sui ricollocamenti del 2015. Un surplus particolarmente fastidioso visto che il versante francese di Bardonecchia resta una frontiera militarizzata dove la gendarmeria francese continua a rastrellare e rispedirci migranti.
Neppure la riforma del trattato di Dublino servita come antipasto lascia spazio per grandi alleanze. Al vertice di Lussemburgo l'Italia del governo Conte ha infatti contribuito ad affossare una proposta di revisione chiaramente insufficiente a garantire la cancellazione di quelle clausole sulla permanenza dei migranti nel paese d'arrivo usata dalla Francia per restituirci migliaia di irregolari. Su queste basi, è evidente, un pranzo non può bastare a ricucire un'intesa. E tanto meno a strappare un sì francese ad una missione militare per contenimento delle partenze e la lotta ai trafficanti di uomini condotta direttamente sul territorio libico. Conte può però giocare di rimessa sfruttando le debolezze di Macron. Fin qui il suo tentativo di strappare alla Merkel l'egemonia europea non ha fatto grandi passi avanti. E i piani di Macron rivolti a garantire maggiori flessibilità di bilancio e minor austerità sono rimasti mestamente al palo. Ma su quest'asse le posizioni di Italia e Francia non possono che convergere.
Dunque un Conte disposto a rinunciare alle scuse può forse alzarsi da tavola con in tasca la promessa di una lotta comune contro l'austerità tedesca e quei rigori di bilancio che minacciano di mettere con le spalle al muro il nostro paese.
Un'intesa da rigiocarsi poi sul tavolo con la Merkel (che riceverà Conte lunedì) dove invece tutte le partite restano aperte. A cominciare da quella per la creazione di un asse Roma/Vienna/Berlino per il contenimento dell'immigrazione.
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