Ora il Parlamento faccia luce sul complotto

N essun grande vecchio, nessun burattinaio, ma solo interessi, politici ed economici, da parte dei soliti poteri forti e marci, da parte delle solite forze politiche ideologicamente e intrinsecamente golpiste, che non disdegnano di usare la magistratura e le potenze straniere per far fuori gli avversari. Un'antica e perversa tradizione italica.

Che cosa è successo al nostro Paese dal 2009 in poi? I fatti li conosciamo. Si è passati dal massimo consenso di un presidente del Consiglio nell'Italia repubblicana (25 aprile 2009, Berlusconi in Abruzzo dopo il terremoto dell'Aquila, a Onna), allo scatenamento di campagne di stampa scandalistiche, seguite e attorcigliate ad attacchi giudiziari. Il tutto coronato da un assalto della speculazione internazionale al debito sovrano del nostro Paese. Una vera e propria morsa, da non lasciare scampo.

La speculazione mediatico-giudiziaria Che tutto tendesse a eliminare Silvio Berlusconi, creando una specie di Comitato di liberazione continentale contro di lui, era già percepibile nell'autunno del 1994. Ripartiamo allora da una data precisa, il (...)

(...) 25 aprile 2009.

Il caso Noemi arrivò puntuale come le V2 naziste su Londra. Una visita generosa a una festa di compleanno a Casoria servì a impastare il polpettone di falsità propalato con il tormentone delle dieci domande di Repubblica . Diffamazioni di ogni tipo filtrarono con estrema facilità all'estero. Nelle capitali europee, e non solo, non si vedeva l'ora di infangare, sporcando l'allora premier, la nostra Italia. Il fatto è che Berlusconi dava fastidio. Sconvolgeva le cantilene della diplomazia e i relativi rapporti di forza.

Il successo del G8 all'Aquila nel teatro del terremoto mostrava come l'Italia fosse capace di solidarietà ed efficienza. C'era nel nostro governo un'energia che pareva quella che secondo gli scienziati, ma anche i maghi, passa sotto New York e la rende elettrica. Bisognava colpire.

La speculazione politico-finanziaria In perfetta coincidenza con l'aggressione mediatica del dopo Onna, qualcuno fece balenare nella testa di Gianfranco Fini la possibilità di trasferirsi dalla presidenza di Montecitorio più in alto. Molto più in alto, purché facesse cadere il governo Berlusconi. Nonostante questo tentativo nell'estate del 2011, Berlusconi era ancora al governo. Nonostante le fibrillazioni e le tensioni sui mercati finanziari, che si esercitavano prendendo di mira il debito sovrano italiano, facendo schizzare verso l'alto lo spread.

Era l'Europa, non l'Italia, a sbagliare tutto. Era stata l'Europa a trazione tedesca a gestire disastrosamente la crisi economica: troppo tardi e troppo poco. Non certo il governo Berlusconi. Basta qualche elemento obiettivo per riconoscerlo.

Accadde che il 30 giugno 2011 Deutsche Bank comunicò i suoi risultati semestrali. Nelle carte figurava la colossale vendita di titoli di Stato italiani per 8 miliardi di euro (su 9 miliardi in portafoglio). L'operazione innescò panico sui mercati finanziari, inducendo tutti gli altri istituti di credito a fare lo stesso. E fu così che partì la corsa al rialzo degli spread.

Il 5 agosto 2011 arrivò la lettera della Banca centrale europea al governo italiano. Non sapendo cosa fare, la Bce reagì così: con una missiva in cui si chiedeva al nostro governo l'anticipo del pareggio di bilancio dal 2014 al 2013 e una serie di riforme strutturali. Quei primi giorni di agosto del 2011 sono un concentrato di significati, bombardamenti, difese, filosofie diverse. È un nodo di storia ineludibile. Verremo poi a sapere che in quei giorni De Benedetti ha già incontrato Monti a Sankt Moritz, e Passera ha già vergato il piano di «rinascita» dell'Italia per il Quirinale.

Il 10 novembre il Sole24Ore esce con un titolo largo nove colonne: «FATE PRESTO». Nel suo genere equivale a un pronunciamiento latino-americano. Poi l'accelerazione degli eventi. Il precipizio. Il colmo è che lo schianto accade con un «sì». Sequenza. La Camera approva la legge di Stabilità per il 2012, già approvata dal Senato. Si tiene l'ultimo Consiglio dei ministri, poi ufficio di presidenza del Popolo della libertà a Palazzo Grazioli. Quindi Berlusconi sale al Colle per le dimissioni.

La demonizzazione di Berlusconi Si perfeziona in quel momento la demonizzazione di Berlusconi e del suo governo. Due imbrogli dove non si capisce bene se sia più grosso quello mediatico-giudiziario imbastito sulle sue serate ad Arcore, o quello politico-finanziario con l'accusa di aver portato l'Italia sull'orlo del baratro (e i numeri hanno dimostrato che non era così). Di certo due imbrogli che sono una tempesta perfetta.

La delusione delle larghe intese Con la formazione dell'esecutivo Letta ci illudemmo che la pacificazione nazionale potesse marciare, avendo sì ostacoli politici e mediatici, ma senza più invasioni di cingolati giuridici a sbarrare la strada alle riforme e alla fine della guerra civile.

Ma a giugno 2013 torniamo subito alla realtà. La Corte costituzionale nega che il Tribunale di Milano abbia commesso un abuso non riconoscendo a Berlusconi il legittimo impedimento che nel 2010 gli impedì di presenziare a un'udienza. I giudici di Milano decisero che era un pretesto per rallentare il processo, e dichiararono che la partecipazione del presidente del Consiglio a un consiglio dei ministri il 1° marzo del 2010 era un fatto di nessun rilievo rispetto alla loro convocazione in udienza. L'illusione della pacificazione nazionale era durata 50 giorni.

Tutto precipita in quel punto. Tutto è perduto. Eppure c'era ancora una possibilità in quel mese di giugno. Che il presidente Letta, che il segretario «pro tempore» del Pd Epifani, magari con l'assenso silenzioso, ma carico di simpatia, del presidente Napolitano, dicessero una parola in difesa della dignità di qualsiasi presidenza del Consiglio. Invece ci fu silenzio, anzi compiacimento. Il premier Letta da quel momento scelse la strada della neutralità, del suo mettersi più in alto rispetto alla politica, con il risultato di tagliarsi da solo il basamento su cui avrebbe potuto costruire la sua novità. Invece lui scelse per sempre di trattare la questione della giustizia come fuori dal patto di pacificazione.

Il caso Mediaset La Cassazione decise di assegnare il processo sui diritti Mediaset, tagliando i tempi, saltando il giudice naturale, alla sezione estiva, la terza sezione, che aveva il torto di aver già assolto Berlusconi per l'identica vicenda semplicemente posposta negli anni. Una classica decisione politica, mascherata tecnicamente. Una sorta di condanna preventiva.

Il primo agosto la Cassazione emette la sua sentenza. Conferma dei quattro anni di reclusione. Ne resta uno da scontare per Berlusconi. Gli ritireranno in fretta e furia il passaporto. Subito dopo la lettura della sentenza, il segretario del Partito democratico, Guglielmo Epifani si palesò in diretta tivù, con al fianco due giannizzeri. Impettito, compiaciuto, paonazzo (più del solito). Disse come lo speaker dello Sceriffo di Nottingham: «Questa sentenza va eseguita e resa applicabile». Aggiunse testualmente: «Seguiremo con attenzione il comportamento del Pdl».

La giunta del Senato che deve decidere sulla decadenza di Berlusconi viene così trasformata in un organo sommario, dove i giudici-senatori enunciano in pubblico la sentenza di condanna prima ancora di escutere il presunto colpevole.

L'assoluzione. Comincia la riscossa Operazione verità. La sentenza della Cassazione che assolve Berlusconi è una condanna di chi ha ordito il golpe, combinando competenze e ambiti decisivi in tutti i settori della scena pubblica. Da quello mediatico-giudiziario, a quello politico-finanziario. Il tutto sotto la regia del Colle dell'era Napolitano.

I tasselli del mosaico si fissano e il disegno del complotto è più evidente che mai. Per questo chiediamo la Commissione d'inchiesta parlamentare sui fatti del 2011, allorché il piano eversivo giunse a compimento, e i fili della trappola golpista si congiunsero.

Roma, via del Plebiscito È una festa di gioia e genuinità, goliardia e allegria. Deputati e senatori tutti assieme per abbracciare il presidente. Ha iniziato a soffiare una brezza di democrazia e di libertà. Una brezza di cambiamento. Nessuna corrente, non più. Berlusconi nel cortile della sua residenza romana è commosso.

Da qui l'ultimo, in ordine di tempo, insegnamento del Cavaliere, dopo aver ringraziato i «giudici coraggiosi»: «Mi sono tolto il gesso dieci

giorni prima, la sentenza ha sanato tutte le fratture, anche nel partito. Uniti vinceremo». Come ebbe modo di dire lui stesso: «Non muoio neanche se mi ammazzano». Fra la morsa e Berlusconi vince, come sempre, Berlusconi.

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