"Ora prepariamoci a nuovi attentati. Lo Stato islamico ha ambizioni globali"

L'analista strategico e il rischio di azioni emulative: "Minaccia elevata per l'Europa. Purtroppo l'attacco di Kabul è solo l'inizio"

"Ora prepariamoci a nuovi attentati. Lo Stato islamico ha ambizioni globali"

La situazione è sfuggita di mano in Afghanistan. Il Paese è perso?

Ci risponde Claudio Bertolotti, analista strategico, per due anni capo sezione contro-intelligence e sicurezza di Isaf (la missione Nato in Afghanistan) e coordinatore della ricerca per il CeMiSS, il Centro Militare di Studi Strategici. «In realtà - spiega Bertolotti - siamo di fronte a uno scenario previsto da tempo. L'unica cosa non prevista è stata la velocità in cui tutto è avvenuto. Le scelte del presidente Biden hanno contribuito a rendere drammatico ciò che era già difficile dal punto di vista operativo, ma sarebbe stato sostenibile se Biden avesse seguito le indicazioni di Pentagono e intelligence: disimpegno progressivo basato su quello che prevedeva l'accordo di Doha firmato da Trump. Un accordo basato su condizioni e tempo».

Biden sottolinea spesso di aver ereditato da Trump l'accordo di ritiro...

«Ma Biden mente quando dice di aver ereditato e applicato l'accordo. L'intesa parlava di impegni da entrambi le parti. Ma i talebani non hanno rispettato nessuno dei punti. Non hanno ridotto la violenza, hanno impegnato i prigionieri rilasciati come comandanti e combattenti. Biden aveva tutti gli strumenti per limitare il disastro, che si è rivelato più politico che militare».

Con Trump sarebbe stato diverso?

«Certamente dal punto di vista comunicativo. Trump tende a mostrarsi come uomo forte, non avrebbe ritirato le truppe così in fretta. Biden, invece, già quando era vice di Obama, spingeva per il ritiro e per tenere solo le forze speciali e colpire target di alto livello».

Quale sarà ora la contromossa americana?

«Biden deve dare una risposta all'opinione pubblica americana. I raid sono la più semplice. Hanno già caratterizzato tutto l'impegno statunitense in Afghanistan. I talebani sono considerati partner con cui è necessario dialogare. L'obiettivo diventa adesso lo Stato islamico, ma ci si dimentica che i talebani sono strettamente legati ad Al Qaida. Che ci si concentri contro Isis-K, e non contro Al Qaida, significa che gli americani non sono riusciti a estirpare Al Qaida ma hanno favorito il proliferare di nuovi gruppi terroristici».

Ora è la volta dell'Isis-K?

«La sigla non è nuova, nasce a novembre del 2014, succursale afghana dello Stato islamico di Siria e Iraq. Attorno al nuovo nucleo confluiscono ex componenti dell'Isis, militanti pakistani, estremisti dell'Uzbekistan, a cui si aggiungono reduci di guerra in Siria e Iraq, che con la loro diaspora creano un gruppo con una visione globale, e sono interessati alla lotta a oltranza transnazionale, a differenza dei talebani. L'Afghanistan per loro è un punto di partenza».

Ci aspetta una nuova ondata di terrorismo in Europa?

«Quanto accaduto a Kabul credo sia uno stimolo alle azioni emulative. Non solo. La vittoria dei talebani spingerà alcuni gruppi, e anche singoli, ad agire. La minaccia per l'Europa resta elevata. L'organizzazione dello Stato islamico non è più efficace e strutturata come nel 2015-2017. Ma rimane la potenzialità. Un appello dei gruppi che dovessero imporsi in Afghanistan potrebbe spingere per nuovi attentati».

I talebani potrebbero essere stati complici dell'attacco di Isis-K all'aeroporto?

«Non credo che l'attacco rispondesse agli obiettivi talebani, che si preparano a governare con il mullah Baradar. Ormai è chiaro che gli Usa andranno via entro il 31 agosto. Ma il movimento talebano è quello guidato da un emiro in Pakistan che è al comando della Shura di Quetta. Si tratta di Hibatullah Akhundzada, che ha due bracci destri: Mohammad Yaqoob e poi il soggetto forte da contenere, Sirajuddin Haqqani. Potrebbe esserci un interesse di Haqqani, strettamente collegato ad Al Qaida, a dimostrare che il costituendo governo dell'Emirato talebano non sia capace di garantire sicurezza e transizione pacifica. Indebolire il governo afghano potrebbe essere un vantaggio per Haqqani».

Perché è imploso così in fretta l'Afghanistan del presidente Ghani?

«Le guerre si vincono militarmente e politicamente. Negli anni 2010-2012, americani e alleati hanno conquistato il territorio e aumentato la sicurezza ma non sono riusciti a stimolare la creazione di uno Stato. Quello Stato, in ogni caso, non poteva avere successo perché era basato su un modello centralizzato, mentre l'organizzazione tribale afghana si basa sulla rete fra clan.

Le tribù si alleano e sostengono un governo centrale che non ha autorità sui poteri periferici. Noi invece abbiamo voluto un potere centralizzato che tenesse quello periferico in una posizione subordinata. Ecco il grande fallimento».

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