Ora tocca a lui: quanto fa male la gogna mediatica

L'ex comico dovrebbe leggere il libro sulle vite distrutte da un corto circuito incontrollabile

Ora tocca a lui: quanto fa male la gogna mediatica

Brutta bestia la gogna, quando la provi sulla tua pelle (o quella di tuo figlio). Peccato che il dramma dei presunti colpevoli sbattuti in prima pagina si trascini da decenni, e che lo stesso Beppe Grillo che oggi se ne dolga sia stato uno dei tifosi delle manette-show: come racconta un libro che uscirà il prossimo 5 maggio, firmato dal giornalista del Foglio Ermes Antonucci: «I dannati della gogna. Cosa significa essere vittima del circo mediatico-giudiziario», editrice Liberilibri.

Le ultime notizie dal fronte della gogna arrivano proprio ieri dalla Calabria, dove sulle strade sono apparsi giganteschi cartelloni pubblicitari del processo «Rinascita Scott», la sterminata inchiesta del procuratore Nicola Gratteri all'esame del tribunale di Catanzaro. L'inchiesta strada facendo ha perso dei pezzi, una parte degli arrestati è stata scarcerata con tante scuse, ma intanto il processo (che si annuncia lungo, la Procura ha citato più di mille testimoni) è diventato un programma a puntate di una tv.

Che così vadano le cose da troppo tempo il libro di Antonucci lo racconta prendendo in esame venti storie esemplari. Storie di politici di ogni orientamento, di servitori dello Stato, di semplici cittadini, trascinati - ben prima che sul banco degli imputati - davanti al tribunale implacabile della pubblica opinione. Sono, scrive Giandomenico Caiazza nella prefazione, «innocenti maciullati dalla gogna mediatico-giudiziaria», e raccontarli «è un viaggio nel dolore più profondo, cupo e disperante che a un essere umano possa occorrere di vivere». Perché «l'ipotesi accusatoria, soprattutto in società di debole cultura democratica, assurge a rango di giudizio attendibile e di già definitivo per il fatto stesso di provenire da un'autorità pubblica: se lo hanno arrestato, ci sarà una ragione».

Ci sono storie note, come quelle di Calogero Mannino e Clemente Mastella. Altre che la cronaca ha inghiottito in fretta, come l'odissea quasi ventennale di Rocco Loreto, per tre volte sindaco Pds di Castellaneta, ex senatore: lo arrestano a giugno del 2001, il giorno dopo che ha perso l'immunità parlamentare, con l'accusa di avere calunniato un magistrato. Il magistrato, si scoprirà poi, era effettivamente un delinquente. Ma per vedersi assolvere da ogni accusa Rocco Loreto dovrà aspettare la sentenza di primo grado: 2017, a sedici anni dall'arresto. Intanto la sua vita è stata rovinata. Ma in fondo è colpa sua: ha rinunciato alla prescrizione, perché voleva uscirne a testa alta.

C'è chi è stato fatto a fette senza neanche essere indagato: come Maurizio Lupi, che mentre è ministro finisce sui giornali perché un manager finito in carcere ha regalato un orologio a suo figlio. Lupi si deve dimettere, in televisione diventa uno che raccomanda i figli ai delinquenti, il pubblico si sbellica davanti alle canzoncine di Maurizio Crozza: «Vedrai che ti trovo un posto - tu dì che sei figlio mio - tu dì che ti chiami Lupi. Attenti al Lupi. Attenti al Lupi, Rolex together. Rolex together». Quando il manager amico di famiglia di Lupi viene assolto la notizia finisce in quattro righe.

Dietro si intuisce un groviglio di colpe individuali e collettive, dove precise strategie investigative incrociano logiche di potere e sadismi popolari in modo così avviluppato che sembra impossibile mettervi mano. Caiazza scrive che «non vi sarà rimedio se non si recupera finalmente un principio di responsabilità del magistrato per i suoi atti giudiziari», ma il libro racconta che non tutto si risolverebbe così. Anche perché l'arma del delitto è sempre l'informazione, la cronaca perennemente asservita alle Procure. Delle venti vittime raccontate da Antonucci, l'unico ad affrontare con forza il tema delle colpe dei media è Giuseppe De Donno, l'ufficiale dei carabinieri incriminato dalla Procura di Palermo nell'inchiesta Stato-Mafia. «È inutile nasconderlo: la persecuzione mediatica è frutto di un rapporto insano e assolutamente illegittimo tra giornalisti e magistrati» dice il colonnello De Donno.

«Molti giornali si nutrono di tutto quello che le procure danno, che fornisce la linfa vitale a certi giornali e a certi meccanismi mediatici che poi si autoalimentano e si autogiustificano da soli».

Chissà se Grillo leggerà questo libro.

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