Roma - Da Gigi Di Maio alla Gig economy, passando per un nuovo simbolo - i riders che pedalano per le nostre città consegnando cibo acquistato tramite le tante «app» dedicate.
Scelta furba per l'esordio al ministero «allargato» del lavoro e dello sviluppo economico per il vicepremier e leader pentastellato, che ha raccontato su Facebook i suoi primi appuntamenti da ministro e - appunto - ha esordito incontrando i fattorini di Foodora, Deliveroo e via ordinando. E pazienza se nell'entusiasmo del primo giorno Gigi inciampa nell'inglese e parla di questi ragazzi «che lavorano nell'ambito della gig economy» pronunciando «gig» come Jeeg robot, e non - come sarebbe corretto - ghig. In fondo anche lui è Gigi, mica Ghigi. Quanto al meeting con i riders, l'aver intercettato un disagio sociale «di nicchia», già affacciato sulle prime pagine dei giornali e calato in pieno in quell'economia «on demand» che adesso va per la maggiore, è segno di una discreta malizia politica. Ma odora anche di statalismo, con l'intervento in un campo che, appunto, necessità di regole più che di rigidità: gig sta per lavoretto, e un lavoretto non è propriamente un lavoro.
Invece, sulla falsariga di reddito e pensioni di cittadinanza, vera bandiera del moVimento, totem riconoscibili e fertilizzante elettorale di grande efficacia, ecco che Di Maio per il battesimo al dicastero sceglie di incontrare loro, i riders, «simbolo di una generazione abbandonata che non ha tutele e - a volte - nemmeno un contratto». Affermando che anche per lavori «precari» come questi servono «diritti minimi» e un «salario minimo garantito». «Sotto una certa soglia di euro l'ora non puoi pagare una persona altrimenti è sfruttamento», riassume il neoministro. Perché di fronte a «questo modello di economia che sta avanzando sempre di più» loro, i fattorini, «hanno un'assicurazione minima, o non ce l'hanno proprio, e hanno stipendi da 2, 3 euro all'ora». Sono «vittime delle tante leggi che precarizzavano il lavoro», chiosa Di Maio. Che dimentica che un lavoro «on demand» anche il prestatore lo fa solo quando gli serve, e annuncia che all'incontro di ieri ne seguirà presto un altro.
In effetti qualcuno già storce la bocca per la strada innovativa ma poco ortodossa scelta dal ministro. Per primi sono i sindacati a manifestare qualche perplessità per l'iter scelto da Di Maio. Cgil, Cisl e Uil bolognesi, dopo l'incontro con i riders della città felsinea, invitano il ministro a non fare della carta dei diritti del lavoro digitale, firmata proprio con i tre sindacati a Bologna un mese fa, un «oggetto di mera propaganda, magari strumentalizzando i diretti interessati» ma semmai a inserirla «in un rapido confronto tra le parti, con l'impegno di estendere i contenuti, sapendo che la Costituzione stabilisce che la definizione del salario minimo spetta ai Contratti e alle parti sociali, da cui il governo e il parlamento traggono gli elementi per eventuali passaggi per via legislativa». Insomma, «sarebbe utile che il neo ministro - proseguono le tre sigle sindacali - anziché parlare ai soli lavoratori interessati, rispetto alla moltitudine di altri lavoratori che attendono risposte convocasse le parti sociali e le imprese che forniscono i servizi in generale chiedendo l'applicazione, come condizione minima, della Carta di Bologna e dei contratti di lavoro».
Plaude Deliveroo, che chiede un «quadro normativo in grado di accompagnare la crescita occupazionale e le tutele dei rider». Ma il rischio, appunto, è che invece delle tutele si renda troppo rigido un lavoro che, per definizione, è «on demand».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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