È una di quelle notizie che ti lascia senza respiro: «Nino Spirlì, lo scrittore, il giornalista, l'ex presidente della Regione Calabria ha il cancro». Anche lui morso, divorato da questa terribile malattia che non risparmia nessuno, che consuma, giorno dopo giorno. Mi attacco al telefono, mi sincero che la notizia rimbalzata su tutti i siti sia vera. Da anni ci lega un rapporto di amicizia. «Nino, ho saputo» - dico attonito al telefono, quasi in imbarazzo - «Purtroppo è vero, ha preso anche me. Vieni presto a trovarmi», mi dice. Quattro parole che non fanno ben sperare.
Organizzo il viaggio, volo in Calabria, a Taurianova, dove Nino Spirlì risiede con sua madre Concettina. L'appuntamento è a casa sua, tra una pastiglia di Capecitabina e l'attesa per le infusioni di chemio bisettimanali. Prima, per messaggio, si assicura: «Hai una mascherina? Procuratela, il medico non mi ha raccomandato altro». Tappa obbligatoria in farmacia, le Ffp2 quasi non si trovano più dopo la nuova impennata di contagi.
Al cancello, sotto il citofono, un cartello scoraggia dalle visite: «Grazie per l'affetto ma il medico sconsiglia». Mi faccio forza, suono il campanello. Mi aspetta. Si apre la porta, dall'altra parte un uomo piegato dalla malattia. Ma non spezzato. Nino Spirlì è forte d'animo. L'uomo è stanco, ma non lo spirito. Statue, quadri, icone delle Beata Vergine Maria raccontano tutto della sua fede. Cercata, ritrovata. Custodita gelosamente. È a lui, al Signore, che Nino si affida. La voce è rauca, stanca. Ma non il pensiero: quello è lucido. Come sempre, nonostante le forti terapie. Mi accomodo sul divano, accanto a lui, ascolto e chiedo.
Cosa stai vivendo?
«Io lo chiamo il mio Getsemani, perché le sensazioni si rincorrono a capitombolo. La fede mi sorregge e mi guida e so perfettamente che quella che noi viviamo è una vita infinita, composta da tanti segmenti. La vita terrena è uno di questi, ma non il più importante. Anche Gesù ebbe il suo momento di scoramento, ma consegnandosi alla volontà del Padre annientò le ombre della paura. Allo stesso modo tento di fare io».
Com'è possibile superare la paura?
«Sposandola! Adottandola. Riconoscendola come sorella e compagna di cammino. La paura fa paura solo se la consideri una nemica. Solo se la consideri un mostro dietro l'angolo. Non si cancella la paura, nè la si può uccidere, tantomeno affrontare. Bisogna riconoscerla come parte integrante di noi».
Tu hai paura?
«Io ho la paura così come ho il coraggio, la temerarietà, la tenacia, la debolezza. In breve: pregi e difetti, virtù e vizi, forze e debolezze che ho imparato a prendere sottobraccio. Nei momenti alti, non mi autoincorono. Nei momenti bassi non mi flagello né indosso il cilicio».
Come la chiami la tua malattia?
«Cancro, si chiama cancro. Non ho mai voluto dargli altro nome se non il suo. Il cancro non lo si vela, non lo si maschera, tantomeno si cerca di dimenticarlo. C'è, esiste ed è dentro il malato di cancro. Il cancro non è solo una malattia delle carni, è il suono della sberla che ti resta nelle orecchie e nel cervello senza soluzione di continuità».
Come lo hai scoperto?
«Ho passato tre mesi della mia vita consegnato, fiducioso, ai sanitari di uno dei più importanti ospedali calabresi. Cinque ricoveri, cinque interventi, cinque anestesie generali, una foresta di tac, risonanze, ecografie, prelievi con diagnosi alternate alle quali mancava solo la conferma di una gravidanza in atto. Imbecillità? Incompetenza? No, solo scarsa padronanza in materia di cancri nascosti. Mi rendo conto che al di là degli enormi sforzi compiuti dai sanitari della mia Regione, la ridotta incidenza di cancri come il mio non concede familiarità nel riconoscimento, per cui alla bandiera bianca issata dai medici della Calabria, mi sono premurato di cercare l'ospedale che potesse dare una risposta alla mia urgenza di sapere. L'ho trovata al San Raffaele di Milano».
Condividi quotidianamente fasi ed effetti della tua malattia, il cancro, con i tuoi followers. Perché?
«Perché nella mia vita ho sempre scelto di essere io a parlare di me, senza delegare nessuno. L'ho fatto durante l'anno di presidenza della Regione Calabria, annus horribilis, a causa del Covid, durante il quale certa stampa serva di poteri occulti tentava di rendermi poco credibile agli occhi dei miei corregionali solo per ottenere le mie dimissioni e poter tornare a mettere le mani nel grasso delle casse pubbliche. Il mio rapporto social quotidiano con i calabresi mi ha aperto le porte delle loro case rendendomi familiare, pur nella mia figura istituzionale. Oggi più che mai li ho tutti dentro casa, e sono parecchie decine di migliaia, tutti a lottare e pregare insieme a me».
Spietatamente, ma tu pensi di farcela?
«Io ce
l'ho già fatta! Testimonio quotidianamente cosa significa indossare con eleganza, garbo, e serenità il cancro al pancreas. Appunto, il più spietato».Lo guardo negli occhi e mi rendo conto che ha ragione e che dice il vero.
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