Lo chiamano «gender pay gap» e in Italia è ancora più forte nel mondo delle partite Iva al femminile. Il 34,8% guadagna meno di 10mila euro a fronte del 15,6% degli uomini. E il 10,3% degli uomini guadagna più di 60mila euro a fronte del 2,7% delle donne. Ma è tutto il mondo degli autonomi a evidenziare i ritardi del lavoro femminile.
L'allarme arriva da uno studio dell'Osservatorio «Mamme che Lavorano». Le imprese femminili sono 1 milione e 340mila, appena il 22% del totale di quelle iscritte al registro delle camere di commercio. Il 27% del totale di tutte le partite Iva registrate e attive è attribuito a persone fisiche di sesso femminile a fronte del 45% con titolari uomini. Il 96,5% sono microimprese (di cui il 94,5% quelle maschili) e il 62,3% sono ditte individuali (il 48,7% quelle maschili). E sono «Ancora troppo poche rispetto anche alle agevolazioni e agli incentivi disponibili», dicono dall'osservatorio.
Nel 2018 le domande accolte a valere sul fondo di garanzia per le piccole e medie imprese per l'imprenditoria femminile sono state 15.080 (pari a solo l'11,7% del totale delle operazioni garantite dal Fondo) per un ammontare di finanziamenti pari a 1,3 miliardi (6,5% del totale dei finanziamenti garantiti dal Fondo) e un importo garantito complessivo pari a 892,5 milioni (6,5% del totale dell'importo garantito dal Fondo).
Inoltre «gran parte di queste imprese sono partite iva di donne solo parzialmente autonome nel rapporto di lavoro - dicono dall'Osservatorio - Le donne restano sottorappresentate nel mondo imprenditoriale. Operano tipicamente in realtà più piccole e meno dinamiche di quelle in cui troviamo gli uomini, in settori con minore intensità di capitale, hanno ambizioni di crescita minori e incontrano più ostacoli».
Una ricerca Istat del 2017 ha poi rilevato che all'interno dell'aggregato composto dalle partite Iva individuali la componente più autonoma (datori di lavoro e autonomi puri) è composta al 75% da uomini e solo dal 25% da donne mentre le donne compongono il 50% del totale dei lavoratori indipendenti che però sono solo parzialmente autonomi. Cioè sono partite Iva senza dipendenti che «presentano almeno tre indizi di subordinazione tra: il dover lavorare presso il cliente, l'impossibilità di assumere dipendenti, l'impiego di strumenti di lavoro di proprietà del cliente o l'aver scelto di essere indipendenti in seguito a una richiesta di un precedente datore di lavoro».
«Le motivazioni delle donne imprenditrici sono diverse da quelle degli uomini -scrive l'Osservatorio- nella microimpresa troviamo molte donne motivate dalla necessità di bilanciare lavoro e famiglia, oppure dal desiderio di sfuggire al soffitto di vetro presente nel lavoro dipendente. Esiste un potenziale imprenditoriale femminile inespresso, che sarebbe utile riconoscere e promuovere da parte dei governi. Questo è particolarmente vero in Italia, dove meno del 2% di donne (contro circa il 4% di uomini) sta iniziando un'attività propria (Ocse, 2019).
Le rispettive percentuali per la media dei paesi Ocse sono 5,3% per le donne e 7,9% per gli uomini".Non solo. In Italia, nel 2018 solo il 12% di start-up era prevalentemente femminile (9% in Francia, 11% in Germania, 30% nel Regno Unito).
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