Sequenze d'altri tempi con i mujaheddin a cavallo che sventolano gli stendardi neri del Califfato. E il barbuto emiro Hafez Said Khan, con qualche chilo di troppo, che giura assieme ai tagliagole fedeltà allo Stato islamico in nome della provincia del Khorasan, l'Afghanistan allargato a un pezzo di Pakistan, Iran e repubbliche sovietiche dell'Asia centrale. Il video era emerso dalla macerie della battaglia di Sirte, la «capitale» libica dell'Isis e faceva parte di un archivio di immagini inedite del centro di comunicazione e propaganda alle porte della città. Said Khan è stato incenerito da un attacco mirato Usa dal cielo nell'agosto del 2016 nella provincia orientale di Nangarhar roccaforte della costola afgana dell'Isis. Il primo emiro ed i suoi successori sono nati e cresciuti all'interno del mondo talebano fra Pakistan e Afghanistan per poi staccarsi in una logica di potere del terrore.
Il kamikaze all'aeroporto di Kabul e la cellula che ha appoggiato il piano della strage difficilmente avrebbero potuto colpire senza che i nuovi padroni dell'Afghanistan chiudessero un occhio o tutti e due. Ufficialmente Isis e talebani si odiano e fronteggiano, ma il terribile attacco fa il gioco dell'Emirato islamico, che punta ad un ritiro certo e definitivo di tutte le truppe occidentali dall'aeroporto di Kabul il 31 agosto, come il presidente americano aveva annunciato prima della Caporetto afghana. «Ogni prova a nostra disposizione dimostra che le cellule dell'Isis-K sono radicate nei talebani e nella rete Haqqani. In modo particolare quelle che operano a Kabul» ha rivelato Amrullah Saleh, il vice presidente dell'Afghanistan arroccato nella valle del Panjshir. Prima di venire eletto era il capo dell'Nds, i servizi segreti afghani. Alcuni quartieri della capitale sono infiltrati da cellule dell'Isis da almeno due anni. Il capo della rete Haqqani, specializzata in attacchi suicidi, è Siraj figlio del fondatore che aveva combattuto contro i sovietici ed era stato ministro nel primo Emirato fino all'11 settembre. Dal 2015 Siraj Haqqani è stato nominato vice emiro dei talebani.
«Se negano legami con l'Isis sono come il Pakistan che nega di avere rapporti con la shura di Quetta (il consiglio decisionale dei Talebani nda). I talebani hanno imparato molto bene dal maestro», ha aggiunto Saleh in un tweet. L'Isis afghano contava su 4mila uomini, ma pesanti bombardamenti degli americani e operazioni dei corpi speciali avrebbero quasi dimezzato le forze del Califfato. Almeno così credeva l'intelligence Usa. In realtà un rapporto dell'Onu di giugno segnalava che 8mila-10mila volontari jihadisti dell'Asia centrale, Caucaso, Pakistan e della regione musulmana cinese dello Xinjiang avevano raggiunto l'Afghanistan per dare man forte all'avanzata talebana. In parte avrebbero aderito all'Isis e Al Qaida.
La costola del Califfato è un miscuglio di combattenti locali, pachistani, uzbeki, ma anche veterani della sconfitta in Siria e Iraq riparati in Afghanistan. Oltre a questa manovalanza il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha ammesso che «chiaramente ci sono migliaia» di prigionieri dell'Isis-K che sono stati rilasciati a causa del ritiro delle truppe Usa. L'uccisione nella sua cella nei primi giorni dell'Emirato di Abu Omar Khorasani, pezzo grosso del Califfato afghano, è solo un segnale al gruppo terroristico che comandano i talebani. Lo stesso fondatore dello Stato islamico in Afghanistan aveva aderito al movimento talebano prima di arruolarsi nella loro copia in Pakistan.
Anche il suo successore Abdul Logari ucciso in un'operazione congiunta dei reparti speciali afghani e americani nel 2017 aveva fatto parte per anni dei talebani. E il misterioso Shahab al-Muhajir, l'attuale capo, sarebbe stato un comandante della rete Haqqani prima di disertare per le bandiere nere.
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