Patto di stabilità e transizione green. La partita doppia di Giorgia in Europa

La leader di Fdi vuole legare i due dossier per privilegiare spese che impattano sul Pil. Il ruolo della Germania: critica le modifiche e chiede il rientro dei Paesi più indebitati

Patto di stabilità e transizione green. La partita doppia di Giorgia in Europa
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«Non ha senso ratificare la riforma del Mes se non sai cosa prevede il nuovo Patto di stabilità». Il senso dell'intervento di Giorgia Meloni ieri al Forum in Masseria è racchiuso in questa concisa dichiarazione che ribadisce un concetto espresso a più riprese dall'Italia a Bruxelles negli ultimi mesi: si può dire sì a una Troika mascherata da ancora di salvataggio dei Paesi di Eurolandia più in difficoltà se e solo se la riforma del Patto consentirà a tutti di investire in quelle politiche che proprio l'Ue ritiene prioritarie come la transizione green. Perché il governo Meloni abbia legato due dossier che sono separati è presto spiegato dall'intesa sui migranti che, comunque, ha visto l'Italia non penalizzata come al solito dalle istituzioni comunitarie. Di qui la scelta di portare a casa un altro «trofeo» collegando il sì al Mes alla riforma del Patto.

Una volta tanto, per spiegare la complessa materia, è più semplice partire dalla seconda parte. La bozza di intesa sulle modifiche al Patto, che rientrerà in vigore l'anno prossimo, non piace alla Germania. Ieri il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, se ne è nuovamente lamentato a mezzo del Financial Times. Il politico tedesco ha ricordato che Berlino ha chiesto una regola di riduzione del rapporto debito/Pil dei paesi fortemente indebitati dell'1% all'anno. «Abbiamo molti altri Paesi dalla nostra parte», ha detto. Il compromesso raggiunto (ferme restando le regole auree di un tetto al 60% del rapporto debito/Pil e del 3% per il deficit/Pil). Il compromesso finora raggiunto prevede una correzione quadriennale per i Paesi ad alto debito come l'Italia pari allo 0,85% cioè sui 14-15 miliardi di euro annui. Concordando un piano di rientro del debito più lungo (7 anni) si può scendere sullo 0,45% annuo, ossia sui 7-8 miliardi. La Germania, ha precisato Lindner, «ha già incontrato gli altri Stati membri a metà strada», ricordando l'ok all'abolizione di tagliare il debito di un ventesimo all'anno per i Paesi oltre il 60 per cento.

Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, ha sempre rilevato come sia necessario «privilegiare solo la spesa che effettivamente produce un significativo impatto positivo sul Pil». Un taglio del debito, infatti, determina un impatto recessivo in quanto gli investimenti pubblici sono i primi a essere tagliati quando si tratta di mettere i conti in ordine: salvare le priorità del Pnrr come green e digitale sarebbe salvifico in questo senso. Ma Lindner ieri ha sottolineato come «il risultato della riforma» del Patto «deve essere difendibile: le nuove regole fiscali non possono essere fatte solo di esenzioni». La Germania è stata una dei più strenui propugnatori dell'«analisi di sostenibilità», cioè un giudizio emesso da un organismo tecnico che dovrebbe valutare ex ante se un Paese sia in grado di rispettare i parametri europei.

Di qui la scelta di Meloni di alzare il tiro sul Mes. Il nostro Paese, dopo che nello scorso dicembre il Bundesverfassungsgericht tedesco ha dato il suo via libera, è l'unico a non aver proceduto alla ratifica. I ddl ad hoc, proposti da Pd e Iv, torneranno la prossima settimana in commissione Esteri alla Camera ma l'approdo in Aula, previsto nel corso di questo mese, non è calendarizzato. Il Mes, infatti, dovrebbe diventare un «braccio» aggiuntivo del Fondo unico di risoluzione per le crisi bancarie. La questione, tuttavia, è quella delle condizionalità connesse all'attivazione delle linee di credito. Il salvataggio di una banca «di rilevanza sistemica» comporterebbe, infatti, l'attivazione di una serie di «paracaduti» tra i quali anche il default selettivo dei titoli di Stato. Lo stesso discorso vale per le linee di credito precauzionali per quei Paesi che non dovessero riuscire ad accedere al mercato dei capitali con i propri titoli di Stato.

Meloni anche ieri ha ripetuto che accedere al Mes comporta uno «stigma», dunque non è né utilizzabile né utile. Disarticolare il meccanismo di valutazione tecnica (che potrebbe portarci dritti al default sia sul versante Mes che su quello Patto) è perciò un imperativo.

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