Carlo Calenda si agita. Si è già pentito dell'accordo con il Pd? Lo pensa. Ma non lo dice pubblicamente. Il leader di Azione tiene in ostaggio, con le sue bordate quotidiane, Enrico Letta. Provoca. Il segretario dei democratici va in paranoia e sollecita un intervento di Dario Franceschini per rimettere in riga il leader di Azione.
Nel pomeriggio viene convocato un nuovo vertice tra Calenda, Letta e Della Vedova. Si cerca di trovare un punto di caduta tra Pd, Azione e Sinistra. «Si deve chiudere entro oggi», fanno sapere dal Pd. Senza un'intesa il saldo elettorale resta invariato. L'arrivo in coalizione di Azione garantirebbe al Pd la vittoria in quindici collegi. Ma l'addio di Sinistra Italia e Verde Europa ne farebbe perdere altrettanti quindici. La coperta è corta. Si deve stare insieme. Tutti. Letta non sa che pesci prendere. Nella sua alleanza cerca di tenere allo stesso tavolo il diavolo e l'acqua santa. E intanto si mette anche il ministro degli Esteri Luigi di Maio a lanciare accuse contro Calenda. È una faida. L'ex ministro, delfino di Montezemolo, affonda il colpo contro i futuri alleati Fratoianni e Bonelli. Riapre il fuoco e rischia di mandare all'aria l'alleanza.
«È incontrollabile», commentano dal Nazareno. Li vuole fuori dalla coalizione. Il piano è chiaro: Azione deve essere l'unico alleato del Pd. Per una ragione: Calenda punta a cannibalizzare i voti del Pd. Rosicchiare tutto il consenso moderato. C'è un sondaggio giunto sulla scrivania del leader di Azione che lo incoraggia nella sua strategia: il partito non perde voti dopo l'annuncio dell'intesa con i dem. E lo stesso sondaggio premia Matteo Renzi il cui partito (R o Italia Viva) viaggia oltre il 3%. E che ieri ha incassato l'ok dell'ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti.
L'accordo con Letta garantirebbe ad Azione un bel pacchetto di collegi: il 30%. Ma va precisato che stiamo parlando di candidature e non di seggi blindati. Per il partito di Azione, che rispetto a Italia Viva non ha sindaci e consiglieri regionali, sarà complicato trovare candidati competitivi negli uninominali dove la partita si decide catturando un voto in più dell'avversario. Azione è un'operazione mediatica, molto forte nei salotti e nelle tv. Ma con scarso radicamento territoriale. Seconda premessa: nei collegi uninominali, tranne in Toscana, Emilia Romagna e Umbria, per il centro-sinistra la sfida appare proibitiva. Il centrodestra è nettamente in vantaggio. E quel 30% di collegi riconosciuto nel maggioritario a Calenda si trasformerebbe in un pugno di mosche. Valutazioni, queste ultime, che sono piombate a freddo sul tavolo di Calenda. Il ragionamento che sta maturando in queste ore il leader di Azione è che un'intesa con Pd e sinistra radicale rischi di far scappare quel voto d'opinione che il partito si costruito in questi anni. Per il momento è scappata la fondazione Einaudi che ritira l'endorsement fatto ad Azione. Il polmone liberale è in fuga. E così la strategia mediatica cambia: partono gli attacchi per far saltare la trattativa tra Pd e sinistra radicale. Bisogna riappropriarsi dello spazio al centro. Calenda sente il fiato di Renzi sul collo. La manovra di sfondamento per ora fallisce. La virata verso i grillini di Fratoianni e Bonelli non arriva. I Verdi dicono sì all'intesa con il Pd e precisano che «l'unica alleanza che possa contrastare efficacemente la destra estrema in Italia sia quella, pur con tutte le differenze che sono note, di un fronte democratico a partire dal Pd. Per questo motivo si ritiene non percorribile un'alleanza con il M5S esprimendo, nel contempo, rammarico per il non raggiungimento di un accordo tecnico più ampio che includesse anche il M5S.
Riteniamo strategica l'alleanza con Sinistra Italiana con cui abbiamo dato vita ad un progetto politico che sta riscuotendo importanti consensi e sostegni. Insieme a Sinistra Italiana ci sentiamo impegnati a valutare comunemente l'evolversi dell'attuale situazione politica». Messaggio chiaro a Carletto: rassegnati, ci saremo.
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