Pechino vuol cancellare per sempre Taiwan dalle carte geografiche

Uno dopo l'altro, compra gli alleati di Taipei. Prima di attaccarla

Pechino vuol cancellare per sempre Taiwan dalle carte geografiche

Ormai è ufficiale: Taiwan è nel mirino di Pechino, che punta a cancellarne la sovranità e ad annetterla alla «madrepatria cinese». È notizia di questi giorni che anche El Salvador, uno degli ultimi Paesi a riconoscere ufficialmente Taipei invece della Cina comunista, ha abbandonato la piccola Repubblica della Cina nazionalista, sconfitta dall'«esercito popolare» di Mao nel lontano 1949 e da allora arroccata sull'isola di Taiwan grazie al sostegno degli Stati Uniti.

La defezione del Salvador, dopo quelle recenti di Panama, della Repubblica Dominicana e del Burkina Faso, riduce a soli 17 i Paesi che il ministero degli Esteri di Taipei chiama pomposamente «alleati». Si tratta di staterelli che si fatica a rinvenire su un planisfero (i più importanti sono il Paraguay, il Guatemala e il Vaticano) ma che assolvono a una funzione che per la Cina nazionalista è vitale: finché ci sono Paesi che ne riconoscono ufficialmente la sovranità, la Cina non potrà infatti pretendere - come cerca da anni di fare - di trattarla come una provincia ribelle, minacciandola di annessione forzosa.

È esattamente per questa ragione che Pechino di questi tempi non bada a spese per portare dalla sua parte gli ultimi alleati di Taipei. Questi piccoli e poveri Stati dell'America Latina, dell'Africa e dell'Oceania approfittano del braccio di ferro tra le «due Cine» - ciascuna delle quali pretende di essere riconosciuta in alternativa all'altra in un complicato gioco diplomatico - per ottenere sostanziosi aiuti in cambio della loro fedeltà. In questi anni non pochi Paesi, una volta spremuto da Taiwan il massimo possibile, l'hanno abbandonata dopo essersi fatti promettere di più da parte di Pechino.

L'obiettivo di Xi Jinping è ormai chiarissimo: sfilare uno dopo l'altro gli alleati di Taiwan e portarli nel proprio campo. A quel punto, il terreno sarà pronto per passare alla fase successiva: pressioni diplomatiche e militari sulla «provincia ribelle» per cancellarla dalle mappe, annettendosela come ha già fatto con Hong Kong e Macao.

La partita con Taiwan è però più difficile per la Cina rossa. Taipei è infatti un'alleata importante degli Stati Uniti, che anche se non la riconoscono ufficialmente la sostengono di fatto soprattutto militarmente. L'amministrazione Trump è particolarmente vicina a Taiwan, tanto che subito dopo il suo insediamento il presidente repubblicano aveva parlato da pari a pari con la sua collega taiwanese Tsai Ing-wen, facendo infuriare Pechino che pretende il rispetto da parte degli americani della ipocrita formula della «unica Cina», che permette a tutti di accettare di fatto l'esistenza di due Cine fingendo che Taiwan non sia indipendente come invece è. Inoltre, a differenza di Hong Kong, Taiwan è armata fino ai denti e a tutt'oggi è in grado di difendersi anche dall'aggressione di un vicino gigantesco come Pechino.

Ma la Cina, come si sa, gioca sui tempi lunghi. E già oggi è in grado di minacciare di conseguenze spiacevoli i piccoli Paesi rimasti fedeli a Taiwan.

È il caso di Palau, staterello del Pacifico che si è visto tagliare il flusso turistico cinese e con esso una fonte quasi vitale di introiti. Il messaggio è chiaro: chi non sta con noi è contro di noi e non gli conviene.

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