La natura non fa preferenze. Tira dritta per le sue strade, spesso imperscrutabili. Così, uno dei luoghi comuni più apprezzati nelle vecchie retoriche superomiste, la «sfida alla natura», in genere si conclude con un disastro.
Appena la senti ostile, se le vuoi bene e ti vuoi bene, è meglio se ti allontani e cerchi una tana sicura. Come fanno i migliori conoscitori della natura: gli animali. Lo è anche l'uomo, dotato però anche di intelletto, usato spesso per sfidarla, la natura da cui dipende, e venirne poi travolto. Le inchieste accertano (dopo), mancanze delle istituzioni, ritardi, richieste di aiuto non raccolte. Il fondo del problema però è un altro: le responsabilità personali degli uomini, che spesso da ostinati amanti della natura diventano poi le vittime dei suoi inquieti risvegli. Come l'amante della gigantessa delle leggende, soffocato quando lei nel letto si gira dall'altra parte. Quando si tratta della vita, meglio che l'uomo impari a fare da solo. Le norme di sicurezza, etc, aiutano, ma è lui il primo che deve badare a se stesso. Dimenticarlo gli fa in ogni caso male, e qualche volta lo perde.
Proprio di questo si sta discutendo in questi giorni, tra amanti della montagna e popolazione, in Alto Adige-sud Tirolo, una regione da sempre devota alla natura e alla montagna. Ora però anche ferita dal numero delle sue vittime negli ultimi tempi, e dalle conseguenze di queste morti nelle loro famiglie e in tutta la comunità. Tutti avevano finora accettato in silenzio le morti dopo le sfide andate male. Le vedove, spesso giovani, che si ritrovavano con 2, 3, 4 bambini (da queste parti è ancora così, per fortuna) da tirar grandi, piangevano compostamente ai funerali e curavano le tombe. I bambini erano piccoli; e dopo, erano comunque i figli degli audaci caduti della montagna. Persone di coraggio e forze effettivamente particolari, con questo eccezionale e poetico amore per le grandi montagne. Ma quest'inverno i quattro padri di famiglia del Renon, montanari esperti, partiti nella notte per conquistare la montagna, e travolti nel buio da una slavina che gli è piombata addosso a oltre 200 km all'ora, ha lasciato tutti silenziosi, come al solito, ma anche pensosi. E dopo qualche mese, qualche giorno fa, un'altra donna, Theresia Bortoluzzi madre di tre ragazzi di 9, 14 e 16 anni, e vedova dall'aprile scorso dell'alpinista Karl Gruber, ha lanciato un appello dalle colonne del quotidiano locale Tageszeitung: «Vorrei chiedere ai tanti uomini che vanno in montagna a cosa servono le loro imprese, se poi non riescono a tornare a casa dai loro figli. Ho provato a fare il conto di quanti figli non possono più abbracciare il loro padre, morto in montagna, ma non sono riuscita a contarli. È devastante».
Reinhold Messner ha ammesso di aver cambiato posizione sulla questione: «La decisione di esporsi al rischio dovrebbe essere comunque discussa e condivisa in famiglia». L'uomo però comincia a chiedersi se la natura amata, anziché sfidarla, non sarebbe meglio ascoltarla.
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