Più degli audio contano i fatti

Se c'è un errore inaccettabile in politica è scambiare le parole per i fatti

Più degli audio contano i fatti

Se c'è un errore inaccettabile in politica è scambiare le parole per i fatti. C'è un gran parlare dei discorsi a cui si è lasciato andare Silvio Berlusconi, nel chiuso di una riunione di partito e che non dovevano diventare pubblici. Valutazioni che aveva già fatto in passato in tv e che rivelano le preoccupazioni su un conflitto di cui tutti conoscono l'inizio ma nessuno intravede la fine, mentre si vedono tutti i giorni le tragedie, i morti, l'assenza di pietà. Un desiderio di tregua, un anelito di pace condiviso da molti in Italia (basta guardare i sondaggi d'opinione), anche se ognuno ha in mente strade diverse sulle soluzioni da dare ad una serie di crisi (dall'Ucraina, all'Iran, a Taiwan) che fanno vacillare il vecchio equilibrio mondiale. La verità è che per ora nessuno ha in tasca la ricetta per individuare una soluzione: su questo giornale ho scritto che essendo improbabile un ritorno della Crimea e di tutte le Repubbliche del Donbass all'Ucraina, per arrivare ad una mediazione bisognerebbe dare a Kiev la sicurezza per l'oggi e per il domani, magari ponendola a riparo sotto l'ombrello della Nato. Non mi sembra che nel nostro panorama editoriale qualcuno abbia avanzato un'ipotesi simile. Giusta o meno che sia.

Fin qui, però, siamo alle parole, alle opinioni che in democrazia sono tutte legittime. Ma in politica l'affidabilità, la lealtà verso la Nato e verso l'Europa si misurano solo sui fatti. E se in questo stravagante Paese qualcuno è ancora animato da un minimo di onestà intellettuale dovrebbe ammettere che non c'è stato un provvedimento del governo Draghi (dalle sanzioni alla Russia, all'invio delle armi all'Ucraina) che non sia stato votato da Forza Italia. Queste non sono parole che volano, ma, appunto, fatti verificabili. Di più: se Berlusconi non avesse messo in piedi, insieme ad altri, il governo Draghi vi immaginate cosa avrebbe potuto combinare Conte e l'esecutivo giallorosso sull'Ucraina? Con tutti i dubbi e le riserve grilline a fornire di armi Kiev sommate all'atteggiamento assolutamente contrario di quei pezzi della sinistra che nei prossimi giorni saranno in piazza a chiedere una generica pace. Piazze dove non ci saranno quei partiti su cui la sinistra fa ricadere le ombre di una complicità con Putin, cioè Forza Italia e la Lega.

Un'ultima riflessione. È più leale verso la Nato e verso l'Europa chi si schiera solo per accreditarsi a Washington e Bruxelles? O chi come il Cav - pur consapevole delle conseguenze sulla nostra economia e il nostro sistema produttivo delle sanzioni alla Russia, dei rischi di quel conflitto e, diciamolo pure, legato anche da una vecchia amicizia con Putin - non si è mai tirato indietro e ha dimostrato sempre con i fatti, cioè non facendo mai mancare i propri voti in Parlamento, la propria fede atlantista ed europeista? Fede che vista la solidarietà dimostrata finora dagli altri Paesi europei verso di noi avrebbe potuto anche vacillare.

Ecco perché tutte le congetture di queste ore scaturite dalle parole del Cavaliere sono pretestuose. Per non parlare delle valutazioni demenziali di chi pone in discussione la ventilata nomina di Antonio Tajani alla Farnesina.

Chi alimenta queste polemiche dovrebbe rispondere ad una serie di domande: quale altra maggioranza, oltre a quella del centrodestra, e quale altro governo, se non quello della Meloni, può garantire, stando ai fatti, il nostro appoggio all'Ucraina in questo Parlamento? Quella con dentro un Pd sempre più calamitato verso le posizioni grilline? O quella centrista che non ha i numeri? Tante domande, appunto, forse troppe, ma nessuna campata in aria.

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