Si tratta di «capire come si spendono le risorse e dirottare su altri capitoli quelle destinate a misure che non condividiamo». Il premier Giorgia Meloni ha sintetizzato con queste parole la propria idea di spending review, un passaggio necessario vista la scarsità di mezzi finanziari a disposizione per la prossima legge di Bilancio. Il Documento di economia e finanza dello scorso aprile fissa già a 1,5 miliardi le minori spese dei ministeri per il prossimo anno, ma l'intenzione dell'esecutivo - e soprattutto del ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti - è aumentare il volume dei risparmi, almeno di un miliardo (due nella migliore delle ipotesi).
Il problema, tuttavia, è rappresentato dall'individuazione dei capitoli sui quali intervenire. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, avrebbe già manifestato informalmente la propria contrarietà. La dotazione del Fondo sanitario nazionale aumenterà l'anno prossimo di 2 miliardi ma il ministro vorrebbe 3-4 miliardi in più sia per i rinnovi contrattuali che per le assunzioni. Una stretta sulle prescrizioni di analisi e farmaci non è semplice anche se consentirebbe di centrare immediatamente l'obiettivo di diminuire la spesa pubblica.
La seconda area di intervento è quella sulle pensioni. Una stretta sulle rivalutazioni per il recupero dell'inflazione (il 100% è garantito solo a chi percepisce fino a 4 volte l'assegno minimo, cioè 2.100 euro lordi) porterebbe anch'esso notevoli benefici. L'intervento sulla manovra 2023 ha già garantito una minore spesa di 36 miliardi di euro in 10 anni. Poiché per quest'anno è atteso un tasso medio di inflazione del 5,7%, regolare ulteriormente le perequazioni potrebbe garantire qualche miliardo. Anche in questo caso, tuttavia, il rischio di impopolarità non va sottovalutato, soprattutto se non si intervenisse, dall'altro lato, con una proroga di Quota 103, Opzione Donna e Ape Social per garantire flessibilità in uscita e se non si incidesse sull'aumento delle minime (per l'anno prossimo è già previsto un aumento del 2,7% per i trattamenti base).
La terza strada è certamente la più difficile: l'intervento sulle spese fiscali, ossia sui vari bonus che consentono di abbassare il carico delle imposte. Il viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, avrebbe individuato 227 misure per un totale di 36 miliardi. Ma dalle ipotesi alla realtà la distanza è notevole perché l'eliminazione degli sconti comporta immediatamente un aggravio per coloro che ne usufruiscono.
Non è detto, tuttavia, che non si riesca a individuare qualche tax expenditure da depennare almeno per recuperare qualche centinaio di milioni. Ad esempio, rimodulando qualche aiuto contro il caro-energia visto che i prezzi di elettricità e gas stanno lentamente calando. Non a caso il ministro Urso ha proposto una specie di social card per la benzina, proprio per dirottare i bonus verso i più bisognosi.
Molto più complesso, al momento, spostare i risparmi da un capitolo all'altro. Le minori uscite per l'assegno unico (2 miliardi), infatti, saranno dirottate verso i sostegni alla famiglia e alla natalità. I risparmi derivanti dalla rimodulazione del reddito di cittadinanza sono praticamente già impegnati per il potenziamento del sistema della formazione.
Entro il 10 settembre, a poco meno di una settimana dal vertice di maggioranza sulla manovra, i ministeri dovranno rendere note al Tesoro le possibili limitazioni alla spesa.
Poi resterà un mese circa (tra Nadef e stesura della manovra) per contrattare ancora sull'entità delle risorse. Trattativa non semplice visto che la priorità del governo, il taglio del cuneo sotto i 35mila euro, costa tra i 9 e i 10 miliardi.
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