«Quel giorno con loro anch'io me ne sono andato, anche se sono qui a parlare non vuol dire che sia vivo»: Alessandro Impagnatiello parla per meno di cinque minuti, vuole chiedere scusa per ciò che ha fatto. Ha la voce rotta dal pianto, fatica a finire le frasi. Nell'aula della Corte d'assise di Milano, gremita di giornalisti e telecamere, cala un silenzio surreale. Tutti notano Chiara e Franco Tramontano, la sorella e il papà di Giulia, uscire nel momento in cui l'imputato comincia le dichiarazioni spontanee.
Ieri è partito il processo per l'omicidio di Giulia Tramontano, 29 anni e incinta di sette mesi di Thiago, avvenuto lo scorso 27 maggio a Senago, in provincia di Milano. Reo confesso del delitto è il compagno della ragazza, colpita nell'appartamento della coppia con 37 coltellate. Impagnatiello, 30 anni, ex barman all'Armani Hotel, è accusato di omicidio volontario pluriaggravato, anche dalla premeditazione per avere tra l'altro fatto ingerire un topicida per mesi alla compagna, di interruzione di gravidanza non consensuale e di occultamento di cadavere. Rischia l'ergastolo. «Non chiedo che le mie scuse vengano accettate, solo ascoltate - ha continuato l'uomo davanti alla Corte presieduta dal giudice Antonella Bertoja -. Sento ogni giorno cosa vuol dire perdere un figlio». Le scuse sono rivolte ai familiari di Giulia, tutti presenti al processo. I genitori, la sorella e il fratello si sono costituiti parte civile, assistiti dall'avvocato Giovanni Cacciapuoti. «Devo le scuse a loro, sono qui completamente a nudo, gliele dovrò in eterno. Quella sera sono stato preso da qualcosa che risulterà sempre inspiegabile e da disumanità. Ero sconvolto e perso. Quel giorno ho distrutto il bambino che ero pronto ad accogliere. L'unica cosa che io faccio ogni sera adesso è sperare di non risvegliarmi più al mattino». Uno dei suoi legali, l'avvocato Samanta Barbaglia che lo difende insieme alla collega Giulia Geradini, ha commentato: «Se è stato sincero pentimento? Assolutamente sì, sono dichiarazioni partite direttamente da lui per chiedere scusa. Era la prima occasione per chiedere scusa nei confronti della famiglia di Giulia. Non si sa spiegare quello che è accaduto, è sgomento rispetto a quello che è successo e si sente molto male. Si trova in una situazione di grandissimo dolore. Abbiamo appena iniziato il processo, siamo tranquilli e andiamo avanti. Sulla perizia psichiatrica non dico nulla». Chiara Tramontano ha replicato poco dopo su Instagram: «Puoi chiedere scusa se per errore hai urtato lo specchietto della mia auto. Non puoi chiedere scusa se hai avvelenato e ucciso mia sorella e mio nipote, prendendoci in giro e deridendone la sua figura. Non hai diritto a pronunciare, invocare o pensare a Giulia e Thiago dopo averli uccisi barbaramente. Meriti di svegliarti ogni giorno in galera ripensando a ciò che hai fatto e provando ribrezzo per te stesso».
L'udienza di ieri è per il resto stata dedicata a questioni preliminari. I giudici hanno respinto la richiesta di costituzione di parte civile da parte del Comune di Senago, che era rappresentato dall'ex pm Antonio Ingroia. La Corte ha anche deciso di escludere le telecamere dalle udienze, su istanza delle parti. Sono stati ammessi i testimoni, una trentina tra carabinieri che hanno svolto le indagini, familiari della vittima e la donna con cui Impagnatiello aveva una relazione parallela, presentati dal procuratore aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo. Oltre a quelli della difesa, uno psichiatra e uno psicologo.
Tra le prove è stato ammesso anche il messaggio vocale che Giulia inviò a un'amica dopo aver incontrato l'amante del compagno e poche ore prima di essere uccisa: «Adesso mi rifaccio una vita con il mio bambino, Thiago», diceva la giovane. Si torna in aula il 12 febbraio.
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