Com'è noto, Corrado Augias si recherà oggi presso l'Ambasciata di Francia a Roma per restituire le insegne di Cavaliere della Legion d'onore, attribuitegli nel 2007, per manifestare il proprio dissenso nei confronti del conferimento del medesimo ordine cavalleresco, nel grado di Cavaliere di Gran Croce, all'egiziano al-Sisi, responsabile di un grave deterioramento dei diritti umani nel paese. «Non mi sento di condividere questo onore - ha scritto ieri lo scrittore e giornalista - con un capo di Stato che si è fatto oggettivamente complice di criminali. L'assassinio di Giulio Regeni rappresenta per noi italiani una sanguinosa ferita e un insulto, mi sarei aspettato dal presidente Macron un gesto di comprensione, se non di fratellanza».
Il gesto di Augias è coraggioso e patriottico, e le sue ragioni non sono sfuggite ai cugini francesi, che ieri hanno dato vasta eco all'avvenimento sui media nazionali. Storicamente non è la prima volta che qualcuno «bacchetta» l'Eliseo rifiutando la massima onorificenza d'oltralpe, istituita da Napoleone ai tempi della Prima Repubblica nel 1802. La scrittrice Georges Sand (nata Amandine Dupin) rifiutò la Legion d'Onore perché non voleva che la sua figura fosse associata a quella di una «cantiniera». Molti anni dopo, Léo Ferré, Georges Brassens, Alfred Camus, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, rifiutarono anch'essi la decorazione.
Tra i casi più recenti hanno fatto scalpore quelli che hanno avuto per protagonisti nel 2015 e 2016 l'economista Thomas Piketty, poco tenero verso la politica fiscale di François Hollande, e l'attrice e attivista Sophie Marceau. Se il primo ha liquidato l'iniziativa sostenendo che «non spetta ai governi decidere chi è meritevole», Marceau ha addotto ragioni che ricordano quelle che hanno portato il francofilo Augias a restituire «con profondo rincrescimento» le insegne della Legion d'Onore: la violazione dei diritti umani. La nomina dell'attrice, infatti, fu annunciata poco dopo quella a Grand'Ufficiale del medesimo ordine del principe saudita Muhammad bin Nayef, rappresentante di un regime notoriamente incline alla pena capitale e alla violazione dei diritti umani e delle donne in particolare.
Le ragioni per cui si può rifiutare (o restituire) un'onorificenza sono quindi assai molteplici. Rudyard Kipling, il cantore dell'Impero britannico, rigettò nel 1899 un cavalierato perché era convinto di lavorare meglio senza di esso. Un secolo dopo il fisico Stephen Hawking rifiutò il medesimo onore perché diceva di non amare i titoli tout court. Doris Lessing rigettò nel 1992 il titolo di Dama (equivalente femminile di Sir) dell'Impero Britannico perché un'onorificenza intitolata a un'entità non più esistente non aveva alcun senso, mentre Danny Boyle, acclamato regista di The Millionaire e ideatore della cerimonia di apertura dei Giochi di Londra del 2012, ha declinato il titolo di Sir perché non adatto a chi, come lui, si considera un cittadino come tanti. Altri ancora è il caso dei britannici originari dei territori d'oltremare vedono le insegne oggetto del conferimento come il simbolo delle vessazioni inflitte ai propri antenati nelle colonie.
Il mondo della musica offre molti spunti in materia. George Harrison, forse irritato dal cavalierato conferito a Paul McCartney nel 1997, rigettò poco dopo un titolo di rango inferiore, mentre David Bowie respinse ben due proposte di onorificenza, compreso il titolo di Sir nel 2003: diceva di non essere diventato musicista per ottenere quel genere di riconoscimento. John Lennon restituì nel 1969 le insegne di MBE (Membro dell'Ordine dell'Impero Britannico) conferitegli nel 1965 insieme agli altri Beatles per protestare contro il coinvolgimento di Londra nella guerra civile nigeriana e per il sostegno all'avventurismo americano in Vietnam.
Lo spettro che spinge al rifiuto, dunque, è davvero vasto: si va da chi adduce ragioni frivole a chi, come Corrado Augias, si sente profondamente deluso da Emmanuel Macron per avere tradito i sommi valori di cui la Francia si fa portatrice da oltre due secoli; e per non
essersi attenuto - parole dello stesso Augias - «a quella che gli americani chiamano the right thing, la cosa giusta». Le prospettive possono cambiare; ci sono dei principi, tuttavia, che dovrebbero sempre indicare la via.
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