Strette di mano. Sorrisi. Abbracci. Ci sono tutti i big o quasi: ecco Putin con Enrico Letta che fa ciao ciao con la mano, e ancora Putin con Renzi che ha mano sul cuore e poi Putin occhi negli occhi di Berlusconi, ma in questo caso la scelta è facile. Quel che più colpisce però è il pizzino messo a commento di questi volti su Facebook dall'ambasciata russa: «Dalla recente storia delle relazioni fra la Russia e l'Italia». Segue una frase vagamente ricattatoria: «Ne abbiamo da ricordate».
Mosca entra così a gomitate nella campagna elettorale che sta per concludersi e lo fa lanciando un sinistro avvertimento: come dire che il passato non si dimentica, che i leader ora intenti a condannare Mosca sono gli stessi che con Mosca dialogavano e con Putin avevano rapporti cordiali e distesi.
Peccato solo che il 24 febbraio il mondo sia cambiato e Putin abbia gettato la spugna. Non importa, a Mosca con una certa malizia coltivano la memoria e ci inondano di immagini che, a quanto pare, dovrebbero documentare una presunta ipocrisia o peggio il tradimento della nostra classe politica passata, pur con qualche vistosa oscillazione, dalla frequentazione col presidente russo alla sua ostracizzazione.
Ecco ancora Putin seduto a conversare con il presidente Giorgio Napolitano e poi con il suo successore Sergio Mattarella. Ci sono Conte, Di Maio e Salvini e tutti, naturalmente, appaiono a loro agio. Certo, lì si può criticare, e qualcuno più di qualcun altro per essere stato troppo sbilanciato in quella direzione, ma una fase storica si è chiusa con l'invasione.
E la trovata dell'ambasciata russa pare la coda maldestra di un disagio e di una debolezza sempre più evidenti. Mosca è in difficoltà e allora sfrutta tutte le occasioni per provare a mettere in difficoltà gli avversari che fino a ieri erano amici e che evidentemente il Cremlino riteneva più malleabili. Le elezioni sono un'opportunità troppo ghiotta per non provare a interferire, ammiccare, insinuare, far balenare, chissà, qualche rivelazione compromettente. «Putin è sempre più debole - nota Vittorio Emanuele Parsi, uno dei più noti analisti italiani, direttore dell'Alta scuola di economia e relazioni internazionali della Cattolica - l'hanno mollato pure i cinesi e allora ricorre a qualunque mezzuccio e bluff per rimanere a galla. Ma il suo destino è segnato».
Nel frullatore bipartisan finiscono anche Draghi, che pure per il Cremlino ha avuto parole durissime, Gentiloni e D'Alema, mentre dall'album già vintage spunta il ministro degli Esteri Sergei Lavrov.
«Sono stato da Putin a Mosca in visita di Stato - replica Conte - lui è venuto in Italia, l'ho incontrato come rappresentate del popolo italiano. Si era creata una intesa cordiale ma ho sempre pensato che non fosse un rapporto personale. Tant'è che in seguito non ho mai cercato Putin, mai parlato col suo entourage e neppure con l'ambasciata russa».
Meno polemica ma più preoccupata la risposta di Renzi: «Credo che il problema della Russia oggi non sia il post dell'ambasciata ma ciò che ha detto Putin», insomma quel richiamo apocalittico alla bomba atomica, un altro passo in avanti verso la guerra globale. «Cerchiamo di lavorare per evitare l'escalation politica.
Noi siamo favorevoli alle sanzioni e all'invio di armi all'Ucraina ma da sempre diciamo che debba essere lasciato aperto un canale di dialogo».Poi Renzi vira dalla politica internazionale a casa nostra e affonda una stoccata proprio contro l'ex premier 5 Stelle: «Noi non siamo come quelli che cambiano idea una volta al giorno e penso a Giuseppe Conte».
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