Il predestinato che rilanciò il Paese. La sua sfida ai dogmi di economia e difesa

Figlio di un notabile, è stato il premier più giovane e longevo. La missione: risollevare Tokyo con "Abenomics" e politica militare

Il predestinato che rilanciò il Paese. La sua sfida ai dogmi di economia e difesa

Suo nonno, 62 anni fa, fu più fortunato. Politico controverso come e più del nipote, Nobusuke Kishi, responsabile per gli armamenti durante la seconda guerra mondiale e primo ministro tra il 1957 e il 1960, fu accoltellato per sei volte da un esaltato negli ultimi giorni del suo mandato. Riuscì a sopravvivere. A Shinzo Abe (o Abe Shinzo, come si usa in Giappone, dove il cognome precede sempre il nome) non è stato riservato lo stesso destino. È finito così, tragicamente, il percorso del politico che più di tutti ha definito il Giappone degli ultimi decenni.

La sua carriera di predestinato era iniziata poco dopo la morte del padre, Shintaro Abe, altro uomo di potere, uno dei notabili dell'eterno partito di governo, i liberal-democratici, più volte ministro, arrivato a un passo dall'incarico di premier. Eletto alla Dieta al suo posto e nello stesso collegio con un numero record di voti, si era fatto immediatamente notare per le ambizioni e per le idee che sulla stampa internazionale venivano di solito definite nazionaliste e conservatrici e che erano spesso criticate per le non poche venature populiste. Nel 2006, a 52 anni, divenne per un biennio il più giovane primo ministro della storia giapponese. Poi, tra il 2012 e il 2020 gli altri mandati. Alla fine conquistò il primato: non c'è un altro premier giapponese nel dopoguerra che abbia governato quanto lui. Annunciò lui stesso il suo addio, per ragioni di salute: una colite ulcerosa che gli impediva di proseguire nell'incarico.

A caratterizzare la sua eredità due grandi battaglie: quella sul posizionamento internazionale del Paese e quella contro la stagnazione dell'economia. Su questo fronte un'intera linea di politica economica ha preso il suo nome, la cosiddetta Abenomics, basata in linea generale su due pilastri. Il primo era una politica di contenimento dei tassi condotta dalla banca centrale, in grado di mantenere basso il valore dello yen per sostenere le esportazioni. Il secondo era invece l'elevato livello della spesa pubblica, anche in questo caso sostenuto dalla Banca del Giappone, incaricata di acquistare titoli di Stato a più non posso attraverso le banche. Uno sforzo poderoso, che però non ha inciso, secondo gli analisti, sugli elementi strutturali che condizionano l'economia del Sol Levante: prima di tutto rigidità del sistema produttivo e andamento demografico.

Ancora più profonda è stata la rottura sul piano della politica di difesa. Il grande nemico di Abe in questo campo è stato l'articolo 9 della Costituzione, che dal 1947 impedisce formalmente al Giappone di ricostituire le Forze Armate. Con il tempo le maglie draconiane della disposizione sono state allargate. Tra le ultime battaglie di Abe c'è stata quella a favore della possibilità che il Paese ospiti armi nucleari dell'alleato americano e un innalzamento del livello della spesa militare al 2% del Pil. In parallelo si è evoluto anche il posizionamento internazionale del Paese, rivolto a contenere soprattutto la minaccia di Cina e Corea del Nord. Una maggiore assertività sul piano internazionale non ha mancato di provocare polemiche, come le periodiche visite di Abe al tempio shintoista di Yasukuni, uno dei simboli del nazionalismo giapponese, in cui sono venerati come divinità anche alcuni tra soldati e leader del periodo imperiale, condannati dagli americani come criminali di guerra.

Tra gli avversari del nuovo Giappone da qualche mese Abe, che, sia pure dietro le quinte continuava a tirare i fili del suo partito, aveva messo anche la Russia, verso cui, pure, nel recente passato aveva mostrato un atteggiamento di appeasement, incontrando Vladimir Putin ben 27 volte. «Non ho rimpianti, adesso le cose sono cambiate», aveva detto in un'intervista di qualche settimana fa. Il tema della sicurezza gli stava, però, sempre a cuore.

Secondo le indiscrezioni stava facendo campagna per i candidati alle prossime elezioni della Camera alta con due obiettivi: raggiungere la maggioranza necessaria per cambiare quel benedetto articolo 9, e soprattutto, tornare al potere.

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