Il cibo della mensa scolastica passava prima per il frigo della preside Daniela Lo Verde, che decideva cosa dare agli alunni. Il resto se lo portava a casa. E accadeva che gli alimenti, tenuti mesi nella stanza della dirigente della scuola Falcone, arrestata venerdì per peculato e corruzione, andassero a male. Una eventualità poco rilevante visto che le docenti, complici della donna, cancellavano la scadenza e li propinavano lo stesso ai ragazzi.
Sono particolari nuovi che emergono dall'inchiesta della Procura Europea, che ha portato all'arresto della dirigente, del suo vicepreside Daniele Agosta e della dipendente di un negozio di elettronica, Alessandra Conigliaro, che riforniva in esclusiva e in assegnazione diretta l'istituto di pc e tablet. In cambio Lo Verde riceveva da lei regali. «Esiste una sorta di circuito consolidato secondo il quale se si rientra nelle grazie della preside si ha vita facile all'interno della scuola - si legge nel verbale della docente della scuola dello Zen, che per prima ha denunciato la gestione illegale dei progetti europei da parte della Lo Verde - altrimenti si vivono ritorsioni che rendono all'interno del plesso la vita molto difficile». Questa denuncia ha dato il via alle indagini, scoperchiando il vaso di Pandora: la preside si appropriava del cibo della mensa e degli iPad assegnati ai ragazzi e acquistati con i fondi Ue.
Nell'esposto si descrive il clima che si respirava nella scuola, per anni citata come modello di educazione alla legalità. «Tutto questo creava nella scuola un clima di pressione a seguito del quale nessuno dei docenti contrastava la preside nelle sue decisioni», ha raccontato l'insegnante ai carabinieri e ai pm. «Il mancato rispetto delle regole è una cosa ricorrente che spazia dalle questioni giornaliere come la gestione degli alunni e della didattica alla gestione dei progetti finanziati dall'Unione Europea», spiegava ancora. In realtà la Falcone era nota per progetti sia in orario scolastico che extrascolastico, ma questi venivano attuati a volte in maniera parziale. «Visto che i ragazzi disertavano i progetti europei e temeva di perdere i fondi raccoglieva le firme ad attività concluse» denunciava ancora l'insegnante.
L'Associazione nazionale per la lotta contro le illegalità e le mafie «Antonino Caponnetto» esprime «sconcerto e preoccupazione di fronte alla vicenda». Nell'esprimere fiducia nella azione della magistratura, l'associazione si costituirà parte civile nel processo che deriverà dalle indagini in corso.
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