Una piccola crepa nel muro di vetro della Banca centrale europea. Si possono interpretare così le parole del governatore della banca centrale austriaca, Robert Holzmann (in foto), uno dei «falchi» dell'Eurotower assieme al tedesco Joachim Nagel, all'olandese Klaas Knot e al belga Pierre Wunsch. «Quello che ci interessa è combattere l'inflazione», ha dichiarato, aggiungendo che «se la deflazione o una riduzione dell'inflazione iniziassero a causa della stretta della liquidità, la banca centrale non avrebbe più bisogno di alzare i tassi o potrebbe alzarli più gradualmente». Holzmann era fino a ieri un fervido sostenitore della stretta monetaria a colpi di rialzi successivi di 50 punti base per portare i tassi al 4,5% dall'attuale 3% entro l'estate. Le vicende della Silicon Valley Bank e del Credit Suisse devono averlo convinto del contrario. In fondo, anche la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha detto all'Europarlamento che «le prossime decisioni di politica monetaria terranno conto delle tensioni finanziarie» causate dalle recenti crisi bancarie che, indipendentemente dalla solidità delle banche europee, determinano automaticamente restrizioni nell'accesso al credito.
Ne è una prova la resipiscenza di Holzmann che, oggi come oggi, non confermerebbe l'auspicio di due settimane fa («quattro rialzi consecutivi dei tassi perché l'inflazione non cala abbastanza»). Dunque, è probabile che si allarghi il fronte moderato guidato dagli italiani Fabio Panetta (componente italiano del direttivo della Bce) e Ignazio Visco (governatore di Bankitalia) e composto dai numeri uno delle banche centrali di Spagna (Hernández de Cos), Portogallo (Centeno) e Grecia (Stournaras). Fondamentale, a questo punto, la Banque de France il cui presidente Villeroy de Galhau ha sempre evidenziato la necessità di combattere l'aumento dei prezzi senza però esporsi sulla politica monetaria. È chiaro che una normalizzazione dei prezzi energetici accelererebbe l'uscita da questa fase ma l'impressione è che la Bce si sia mossa, come ha detto Panetta parafrasando Lucio Battisti, «guidando a fari spenti nella notte», alzando i tassi perché non s'erano studiate altre soluzioni se non originare una spinta recessiva. Insomma, come aveva suggerito il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sarebbe stata opportuna «maggiore prudenza perché le imprese devono essere messe in condizione di poter competere».
Il fatto che l'Italia si sia collocata dalla parte del buon senso è un segnale incoraggiante. Senza proclami ma con un'azione costante di moral suasion si è cercato di convincere gli altri partner che l'avvedutezza evita di dover intervenire successivamente (magari con aiuti di Stato) perché le economie non riescono a reggere due shock da offerta ravvicinati, quello dei prezzi e quello monetario. Ora la stessa accortezza va usata nella riscrittura del Patto di Stabilità perché nel 2024 non potranno entrare in vigore norme peggiorative rispetto a quelle vigenti fino alla crisi pandemica. «È necessario che le nuove regole lascino agli Stati membri margini di bilancio che, se opportunamente utilizzati, possano anche migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche», aveva affermato il ministro dell'Economia. Insomma, «tornare alle vecchie regole di bilancio non è coerente» con un quadro macroeconomico che ha affrontato due crisi in serie.
Lo stato confusionale della Germania sulle modalità di riforma del Patto giova all'Italia.
Anche a Berlino, infatti, fa comodo viaggiare senza il freno a mano del deficit. Ecco perché Meloni ieri ha potuto affermare che «il tempo dell'austerità è finito e il percorso di riequilibrio degli Stati maggiormente indebitati non dovrà mettere in pericolo lo sviluppo economico».
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