Produzione industriale in frenata Il governo studi la lezione dell'auto

di Matteo Renzi ha inviato ai parlamentari Pd una lettera piena di ottimismo orgoglioso, in cui dice che «dopo undici mesi negativi il Pil è tornato a crescere». Ma nel frattempo, l'Istat ha reso noto che nel giugno la produzione industriale è arretrata dello 1,1 % su maggio. Insieme a questa diminuzione «congiunturale» fra un mese e l'altro, c'è una peggioramento «tendenziale» dello 0,3% nel confronto del giugno 2015 con quello del 2014. Come conseguenza di ciò, nel primo semestre abbiano una crescita dello 0,4% soltanto rispetto al primo del 2014. Invece nei primi cinque mesi dell'anno c'era stata una crescita dello 0,5%. Dunque, c'è decrescita anche qui. L'affermazione di Renzi che il Pil è tornato a crescere era vera per maggio ma non lo è in giugno. Su base annua nel 2014, il Pil è decresciuto dello 0,5 sul 2013 e la produzione industriale è scemata di quasi lo 1% rispetto al 2013. Dunque, il modesto recupero dello 0,4 nel primo semestre del 2015 sul primo del 2014, non annulla il declino di un punto del 2014 sul 3013. Lo riduce di un po' meno della metà. Speriamo che la caduta del giugno della produzione industriale sia un fatto temporaneo e che nei prossimo mesi ci sia un recupero. Però, in Italia, la ripresa che ci dovrebbe essere in conseguenza della discesa del tasso di cambio dovuta alla politica espansiva della Banca di Italia e del ribasso del prezzo del petrolio è molto pallida; e va a zig zag con passi avanti e passi indietro. Se ne desume che le riforme di Renzi non hanno funzionato o perché non sono sufficienti o sono contro producenti (vedi riforma del lavoro) oppure sono rimaste sulla carta (vedi norme sullo sblocco degli investimenti) e sono state accompagnate da comportamenti contrari. L'analisi dei dati di giugno della produzione industriale avvalora queste deduzioni. Infatti c'è un solo settore in vistoso aumento, quello dei mezzi di trasporto la cui fabbricazione registra un +13,7%. Un aumento importante - l'11% - c'è l'ha anche l'industria della raffinazione di prodotti petroliferi, che vi collega. Il settore dei prodotti farmaceutici registra un +6,1%. Tutti gli altri scendono. Il boom della fabbricazione di auto dell'Italia si collega al fatto che Fiat Chrysler ha fatto, per conto suo, la vera riforma del mercato del lavoro: quella basata sui contratti aziendali di produttività. Essa genera quella flessibilità che, invece, il monolite del contratto nazionale di lavoro a tutele crescenti messo in campo da Renzi non genera. A guidare gli andamenti negativi di giugno dell'industria ci sono due settori di base: quello delle imprese estrattive, che riguarda soprattutto i materiali per l'edilizia e quello delle imprese metallurgiche - acciaio in prima linea - che riguarda specialmente gli investimenti in infrastrutture. La tassazione esasperata dell'edilizia ha generato la crisi del settore. Ciò ha dato luogo a disoccupazione e insoluti bancari. Le banche, oberate di crediti inesigibili, non sono in grado di finanziare l'edilizia con tassi moderati, nonostante il basso tasso di interesse a cui esse si possono rifornire. Le grandi opere pubbliche non ripartono e non si fanno neppure le piccole, perché sono bloccate. Il governo ha la mano larga nelle spese correnti, lesina negli investimenti.

Il bilancio pubblico ha un deficit vicino al 3%, non al di sotto del 2%, come sarebbe utile, per rassicurare i mercati, data la crisi greca. Ciò fa aumentare il debito pubblico e frena gli investimenti. Così non si crea ricchezza. Né i proclami e le promesse illusorie possono supplire alle politiche errate.

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