«Quindici anni di carcere. È così che il regime ha ricompensato il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia. Ma oggi non penso alla mia sentenza. Penso a migliaia di innocenti, detenuti e condannati a pene detentive reali. Non mi fermerò finché ognuno di loro non sarà rilasciato». Questo l'amaro commento di Svetlana Tikhanovskaya, la leader dell'opposizione bielorussa che il regime di Minsk ha condannato a 15 anni di reclusione in contumacia.
In un processo evidentemente politico e repressivo, la Tikhanovskaya, che si trova in esilio all'estero, è stata condannata dal tribunale di Minsk nell'ambito di un procedimento penale contro i membri del Consiglio di coordinamento dell'opposizione bielorussa. Oltre alla leader, sono stati condannati altri membri di spicco dell'opposizione. L'ex ministro della Cultura Pavel Latushko è stato condannato a 18 anni. 12 anni ciascuno per Maria Moroz, Olga Kovalkova e Sergey Dylevsky. Le accuse ufficiali vanno dalla «cospirazione per prendere il potere» alla «creazione di una formazione estremista», dagli «appelli pubblici per la presa del potere», all'«incitamento all'odio sociale» fino al «tradimento». Si tratta chiaramente di imputazioni politiche, volte a reprimere per via giudiziaria l'opposizione.
Le accuse si riferiscono nello specifico alle proteste del 2020 contro la rielezione alla presidenza di Alexandar Lukashenko, dopo un voto che le opposizioni (e non solo) ritengono viziate da pesanti brogli. Tikhanovskaya si era dichiarata vincitrice delle presidenziali, mentre secondo i dati ufficiali aveva raccolto poco più del 10% dei voti. Da quel momento fu costretta a lasciare il Paese e a vivere in esilio. Del resto in Bielorussia, Lukashenko governa senza sosta dal 1994, come da manuale del perfetto leader autoritario. Un dittatore in piena regola, vicinissimo a Putin da cui è dipendente sotto ogni punto di vista. Non forte abbastanza per schierarsi in guerra al suo fianco ma a sufficienza per allungare la sua longa manus repressiva su chiunque si azzardi a mettere in dubbio o soltanto a criticare la sua autorità.
Soltanto 4 giorni fa infatti, un altro gesto eclatante aveva acceso i riflettori sul despota bielorusso, la condanna 10 anni di prigione per Ales Bialiatski, premio Nobel per la pace. L'accusa, anche in questo caso, il ruolo nelle manifestazioni di protesta contro il regime nel 2020. «Una vergognosa ingiustizia», l'aveva definita Tikhanovskaya: «Il premio Nobel per la Pace Ales Bialiatski è stato condannato a 10 anni di carcere, Valiantsin Stefanovic a 9 anni e Uladzimir Labkovich a 7 anni nel falso processo del regime contro i difensori dei diritti umani. Dobbiamo fare di tutto per combattere questa vergognosa ingiustizia e liberarli», aveva commentato affidando il suo pensiero ai social network. A Bialiatski, fondatore dell'ong Viasna, in prima fila nella difesa dei diritti umani in Bielorussia, è stato assegnato il Nobel per la Pace l'anno scorso assieme all'ong per la difesa dei diritti umani Memorial e all'organizzazione ucraina «Centro per le Libertà Civili». Il suo arresto, oltre a un abuso giuridico, è anche una chiara provocazione nei confronti della comunità internazionale.
Possibile, fin quando la Bielorussia resterà uno Stato fantoccio della Russia, con Lukashenko che continua ad alzare il tiro. Dai nobel all'opposizione fino ai semplici cittadini. Repressione a 360 gradi, pur di mantenere il potere e il regime di terrore che si è costruito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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