La lettera di Carles Puigdemont indirizzata all'esecutivo centralista di Mariano Rajoy è arrivata lunedì mattina, due ore prima della scadenza dell'ultimatum dato da Madrid al disobbediente President. Parole non gradite al premier e alla vice-premier Soraya Sáenz de Santamaria, come non è stata apprezzata l'ennesima «non risposta» di Puigdemont che, ormai, ha sviluppato una notevole abilità nello schivare gli ultimatum, rilanciando col negoziato. «Due mesi» con l'aiuto di mediatori internazionali super partes ha chiesto il governatore catalano per riannodare lo strappo con la Capital, sempre più vicina a sciogliere il Parlament e mandare tutti alle urne come indica l'articolo 155 che, ormai, lo spagnolo comune chiama «la bomba atomica», mai applicato in precedenza dal Gobierno.
Una mossa sottintesa dalla Sáenz de Santamaria che, novanta minuti dopo il discorso di Puigdemont di lunedì, gli ha ribattuto così: «Era molto semplice: doveva dire sì o no. Ora siamo alla seconda fase della nostra richiesta: il presidente Puigdemont ha tempo fino alle 10 del mattino di giovedì per rientrare nella legalità e dare una risposta chiara alla popolazione». Rajoy ha liquidato le parole scritte e pronunciate da Puigdemont come «profondamente deplorevoli», ma poi, nel pomeriggio, di suo pugno ha scritto al collega disobbediente confermando il nuovo ultimatum di giovedì mattina, specificando però che poi adotterà «le misure costituzionali». A questo punto Rajoy potrà scegliere il nuovo governatore della Catalogna, e in attesa di nuove elezioni nella regione, prendere il comando dei Mossos e commissariare la finanza catalana. «Il President Puigdemont chiede cose che nessun Presidente del Consiglio potrebbe autorizzare», ha fatto notare la Sáenz de Santamaria, convinta che quella missiva fosse stata pensata e scritta soltanto per chiedere aiuto alla comunità internazionale. Non è piaciuto alla vice-premier «il paragone azzardato» della Catalogna con il Kosovo incluso nel discorso di Puigdemont.
Ma la tensione continua a salire. Ieri la procura spagnola ha chiesto e ottenuto l'arresto dei leader di Anc e Omnium, le grandi organizzazioni della società civile indipendentista, Jordi Sanchez e Jordi Cixart, accusati di «sedizione» per le manifestazioni pacifiche del 20 e 21 ottobre a Barcellona. Nel tardo pomeriggio di ieri, dopo che la Procura aveva chiesto l'arresto del maggiore dei Mossos, Josep Lluís Trapero, in attesa di istruire il processo per sedizione, il giudice Carmen Lamela, ha deciso di lasciare in libertà il maggiore, che, privato del passaporto, dovrà rispettare l'obbligo di firma ogni quindici giorni in Tribunale. Nelle motivazioni, il magistrato ha sostenuto: «La volontà di Trapero di avere ordinato ai suoi agenti di proteggere il comitato del referendum, dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale il 6 settembre scorso». Le medesime misure cautelari sono state decise anche per la vice di Trapero, Teresa Laplana.
Ieri pomeriggio, mentre alla Generalitat circolava la volontà di non scrivere né rispondere ulteriormente al governo di Madrid i capigruppo dei partiti del Parlament si sono riuniti per
decidere e valutare, le prossime mosse. L'instabilità politica catalana, minata dalla fuga di capitali, potrebbe avere una sola soluzione: le urne. Evitando così «l'onta» di essere commissariati dalla «centralista» Madrid.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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