Punita la pm molestata. Sei mesi di sospensione

Mano pesante del Consiglio superiore della magistratura nei confronti di Alessia Sinatra

Punita la pm molestata. Sei mesi di sospensione
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Mano pesante del Consiglio superiore della magistratura nei confronti di Alessia Sinatra (nel tondo), pubblico ministero a Palermo, che tre anni fa fu protagonista dell'unico caso conclamato di molestie sessuali all'interno del sistema giudiziario per l'aggressione subita in ascensore da un autorevole collega. L'episodio venne riferito dalla Sinatra a Luca Palamara, il molestatore (l'allora procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo) venne sanzionato dal Csm che però, curiosamente, punì con la censura anche la Sinatra, rea di avere ecceduto («porco schifoso») nel descrivere il comportamento dell'uomo.

Ora, ed è difficile non leggerla come una sorta di nemesi, la Sinatra viene colpita da una sanzione ben più pesante: sospensione dal lavoro per sei mesi, una delle punizioni più gravi cui un magistrato possa venire sottoposto. La sua colpa: avere accumulato nel corso degli anni ritardi enormi nella gestione dei fascicoli di inchiesta, causando in più di un caso la prescrizione dei reati. Tra i fascicoli che la bionda pm è accusata di avere dimenticato in armadio ci sono anche inchieste per reati sessuali, nate dalla denuncia di donne vittime - quanto e più di lei - di aggressioni e violenze. Avere sperimentato sulla sua pelle l'aggressività maschile non l'ha spinta a seguire come era doveroso quelle indagini.

A condannare la Sinatra è stata ieri la sezione disciplinare del Csm, andando molto al di là della sanzione ben più blanda (tre mesi di perdita di anzianità) che era stata proposta dall'accusa, rappresentata dalla procura generale della Cassazione. La «squalifica» di sei mesi è un provvedimento severo, destinato a marchiare indelebilmente la carriera della 56enne magistrata. Ma secondo la sezione disciplinare i ritardi accumulati dalla Sinatra erano talmente clamorosi da non lasciare spazio a indulgenze. E a nulla è servito che per giustificarsi la pm abbia citato gli sforzi profusi in altre indagini né il contributo dato nel corso degli anni alla elaborazione di nuovi protocolli investigativi sui reati contro le donne.

Il provvedimento per «mancanza di diligenza e laboriosità», «negligenza inescusabile», «grave e ingiustificato ritardo» è basato su tre capi d'accusa. Secondo il primo, dopo aver ricevuto nel giugno 2003 una denuncia del gruppo contro l'Abuso e il maltrattamento si limitò a compiere gli interrogatori di due vittime, e aprì il fascicolo a carico di ignoti ben sette anni più tardi, nonostante i presunti colpevoli fossero perfettamente identificati nelle denunce: «e trascorsi ulteriori dieci anni si limitava a richiedere l'archiviazione dopo sedici anni di totale inerzia investigativa». Tempi altrettanto assurdi nel secondo caso, un'indagine per un grave caso di stalking aperto nel 2011 e archiviato nove anni dopo «in assenza pressocché totale di interesse investigativo».

Fino al caso più grave, quando le arriva nel 2010 sul tavolo una denuncia per stupro in ambito familiare, e lei chiede il rinvio a giudizio dell'imputato solo dieci anni dopo, «oltre ogni ragionevole durata delle indagini preliminari, nonostante la assoluta rilevanza dei fatti denunciati, quando ormai il reato risultava già estinto per intervenuta prescrizione».

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