Quell'indagine su Romeo che portò solo a un suicidio

A Napoli nel 2008 fu arrestato con altri dodici: tutti prosciolti. Tranne l'assessore Nugnes che si era ucciso

Quell'indagine su Romeo che portò solo a un suicidio

Romeo dejà vu. Gli arresti, le paginate di intercettazioni, le relazioni e le amicizie politiche che si fanno «sistema», il terzo livello: tutto già visto, dalle parti della Procura di Napoli. Ha un precedente non proprio favorevole all'accusa, l'inchiesta sulla Consip che sta facendo tremare i palazzi del potere della Capitale. Quasi dieci anni fa, l'immobiliarista partenopeo finì 79 giorni a Poggioreale. L'ipotesi era che avesse corrotto mezzo Comune di Napoli per assicurarsi l'appalto «Global Service». I pm Filippelli, D'Onofrio e Falcone, coordinati dall'attuale procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, arrestarono lui e altri dodici, compresi due assessori in carica (Ferdinando Di Mezza e Felice Laudadio) e altrettanti ex (Giuseppe Gambale ed Enrico Cardillo) oltre a una manciata di collaboratori, professionisti e dirigenti pubblici. Sott'inchiesta c'era un terzo componente della giunta del sindaco dell'epoca, Rosa Russo Iervolino. Si chiamava Giorgio Nugnes.

Anche lui sarebbe finito in manette nel blitz del dicembre 2008 se non si fosse impiccato nella sua casa, appena due settimane prima. Annientato dalle anticipazioni della stampa allora come oggi sull'imminenza della retata e psicologicamente provato da un precedente arresto per la guerriglia contro la riapertura della discarica di Pianura, come riporta anche il libro La Gogna di Maurizio Tortorella. Nugnes era l'interlocutore principale di Romeo, il cavallo di Troia dell'imprenditore nell'Amministrazione di Palazzo San Giacomo secondo l'ipotesi dei pubblici ministeri. Entrambi spiati ore e ore al cellulare. All'epoca, il virus Trojan del Noe che buca gli smartphone non esisteva.

Due anni dopo, il gup Enrico Campoli polverizzò il fascicolo con una raffica di proscioglimenti. L'ufficio inquirente non ottenne un solo rinvio a giudizio, nemmeno per una posizione minore. Il giudice ritenne infondata l'esistenza di un «sistema-Romeo» e stigmatizzò il metodo investigativo soprattutto rispetto alla mancanza della prova principe: i soldi delle mazzette. Non c'era traccia delle bustarelle, non c'era traccia degli accordi tra l'imprenditore e gli amministratori, non c'era traccia nemmeno del capitolato d'appalto a ben vedere.

La gara, «cucita su misura per Romeo», non era mai stata bandita. La «madre di tutte le inchieste» si era trasformata in un processo alle intenzioni. C'è una singolare e perfetta sovrapponibilità tra i due procedimenti: quello del 2008 e quello del 2017. Allora come oggi, i pm andarono a caccia della «talpa» che aveva compromesso l'indagine. Oggi sono sott'inchiesta il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e il comandante della Legione Toscana Emanuele Saltalamacchia; all'epoca nel tritacarne finirono un colonnello della guardia di Finanza, Vincenzo Mazzucco, e in un filone stralcio di Romeo, quello sugli appalti per la sicurezza, altro inglorioso procedimento il direttore della Dia, Antonio Girone; poi archiviati.

Allora come oggi, tutto partì da una intercettazione su una presunta storia di camorra.

Allora come oggi, gli investigatori adombrarono la presenza dei servizi segreti interessati a dinamitare l'inchiesta. I misteriosi 007 non sono stati trovati, però. Allora come oggi, la politica sembrava esserci finita dentro fino al collo.

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