Regeni, il Cairo collabora. E torna l'ambasciatore

A 18 mesi dall'omicidio un nostro diplomatico in Egitto. Rabbia della famiglia: «Una resa»

Matteo Basile

Diciotto mesi di bugie, depistaggi, storie ridicole create dal regime egiziano e dolore da parte di una famiglia. Con un'unica certezza: sulla barbara uccisione di Giulio Regeni, il ricercatore sequestrato, torturato e ammazzato in Egitto, non c'è nessuna certezza e nessun colpevole. Ma ora, forse, qualcosa si muove, con tanto di passi ufficiali del governo italiano anche se con un contorno di polemiche e molti punti che restano oscuri.

La procura del Cairo ha infatti trasmesso a quella di Roma gli atti relativi ad un nuovo interrogatorio cui sono stati sottoposti i poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte del giovane. Interrogatori che erano stati sollecitati proprio dalle nostre autorità. «Un passo avanti nella collaborazione tra le due procure», viene sottolineato in una nota congiunta firmata da Giuseppe Pignatone e Nabil Ahmed Sadek procuratori a Roma e al Cairo, tanto che il nostro governo ha deciso di riportare in Egitto un ambasciatore, Giampaolo Cantini. L'8 aprile 2016 l'allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva richiamato l'ambasciatore Maurizio Massari in polemica aperta con il governo di Al Sisi per i continui depistaggi sulle indagini. Prima si era parlato di incidente, poi di delinquenza comune, poi di coinvolgimenti loschi del ricercatore quando era evidente sin da subito la mano, violenta, di quel sottobosco di servizi pseudo segreti vicini al regime.

«L'impegno del governo italiano - spiega il ministro degli esteri Alfano - rimane quello di fare chiarezza sulla tragica scomparsa di Giulio, inviando al Cairo un autorevole interlocutore che avrà il compito di contribuire, tramite i contatti con le autorità egiziane, al rafforzamento della cooperazione giudiziaria e, di conseguenza, alla ricerca della verità». La nuova attività di investigazione congiunta prenderà il via a settembre con una riunione tra l'azienda di consulenza esterna cui sono stati affidati gli accertamenti e la procura egiziana, alla quale sono stati invitati anche gli inquirenti italiani. «Entrambe le parti - si legge in una nota congiunta - hanno assicurato che le attività investigative e la collaborazione continueranno fino a quando non sarà raggiunta la verità».

Ma la famiglia di Giulio non si fida, parla di «indignazione» e teme una nuova puntata della farsa che finora ha, in parte volutamente, nascosto la verità. «Ad oggi, dopo 18 mesi di lunghi silenzi e anche sanguinari depistaggi, non vi è stata nessuna vera svolta nel processo sul sequestro, le torture e l'uccisione di Giulio. Solo quando avremo la verità l'ambasciatore potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità», scrive in una nota.

In serata il premier Gentiloni ha chiamato la famiglia per spiegare le ragioni del gesto ribadendo che questa scelta contribuirà ad accertare cosa è realmente accaduto. Ma dopo un anno e mezzo sono ancora troppi i dubbi e le incertezze e la scarsa affidabilità del governo egiziano. Ora, forse, un nuovo capitolo.

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