Le urne si chiuderanno alle 15 di oggi. E finirà che tutti i partiti di maggioranza e di opposizione si aggrapperanno al drastico calo dell'affluenza di questa tornata elettorale per sostenere che poi, alla fine, poteva andare peggio. O che, comunque, siamo davanti a un risultato falsato. Ognuno, insomma, tirerà l'acqua al suo mulino, nonostante ieri sera alle 23 fosse andato alle urne solo il 29,5% degli aventi diritto contro il 70,8% delle regionali 2018 (quando però si votò anche per le politiche e in un solo giorno). Una fuga dalle urne. Di cui i partiti di maggioranza e opposizione preferiscono non farsi carico, come se si trattasse di un accidente della storia.
In verità, la questione preoccupa non poco Palazzo Chigi. Perché interpellata in proposito a fine dicembre, durante la conferenza stampa di fine anno Giorgia Meloni aveva scelto di non sottrarsi e aveva ammesso che sì, una tornata elettorale che coinvolge Lazio e Lombardia (quasi 13 milioni di elettori) è comunque un test nazionale. Che, dicono i pronostici, sarà tutto a sostegno della premier e del suo partito, con la vittoria di Francesco Rocca nel Lazio e Attilio Fontana in Lombardia. Un successo che rischia però di essere ridimensionato dalla drastica riduzione dell'affluenza alle urne in due regioni Lazio e Lombardia che da sole rappresentano un quarto dell'elettorato nazionale.
Negli equilibri interni alla maggioranza, infatti, Meloni rivendicherebbe ovviamente la vittoria, ma con la consapevolezza che il successo di Fdi stando alle previsioni dovrebbe essere schiacciante possa essere viziato da una partecipazione mai così bassa. Una crepa su cui sono pronti a buttarsi sia Lega che Forza Italia, per provare a ridimensionare le eventuali accelerazioni di una premier sempre più stanca di quello che in privato definisce il «fuoco amico» degli alleati.
Meloni, infatti, guarda sia alle mosse di Matteo Salvini che a quelle di Silvio Berlusconi.
Il primo lo teme soprattutto per gli eventuali contraccolpi del voto in Lombardia, dove le previsioni dicono che la Lega potrebbe attestarsi intorno al 12% (contro il 29,6 delle regionali 2018). Così fosse, per il Carroccio sarebbe una battuta d'arresto pesantissima e che ricadrebbe tutta in capo a Salvini. Se il risultato fosse davvero così negativo, peraltro, sembra che lo stesso Umberto Bossi così ha confidato ai suoi sia pronto a riaprire il dibattito sulla «mancanza di identità della Lega», come pure i governatori a partire dal veneto Luca Zaia potrebbero tornare a farsi sentire. Il condizionale, ovviamente, è d'obbligo, visto che sono anni che i dirigenti del Carroccio fanno filtrare dichiarazioni di guerra per poi non muovere un dito.
Detto questo, è evidente che dentro la Lega è in corso una partita complicata e che potrebbe portarsi dietro diversi contraccolpi. Che la stessa Meloni teme, consapevole del rischio che una sconfitta troppo sonora possa spingere Salvini a contrattaccare pur di sparigliare. Creando dunque difficoltà nell'azione di governo, ma pure sui prossimi passaggi che hanno a che fare con le nomine. A partire dalla Rai, dove la premier sembra decisa ad intervenire a breve, soprattutto dopo le polemiche che hanno seguito Sanremo. L'intenzione resta quella di nominare un ad gradito a Fdi, con uno occhio di riguardo al Tg1 dove sostenuto da un pezzo di opposizione resta in pole il direttore dell'Adnkronos Gian Marco Chiocchi.
Altro fronte è quello di Forza Italia. Con cui le tensioni si sono nuovamente accese ieri dopo le parole di Silvio Berlusconi su Volodymir Zelensky (anche se a sera il leader azzurro ha ribadito di non essere «dalla parte di Putin»). Palazzo Chigi ha preso le distanze, perché l'ex premier ha detto di non ritenere opportuno che un presidente del Consiglio italiano vada a parlare con Zelensky proprio mentre la nostra diplomazia sta cercando di chiudere con Kiev per una visita di Meloni. Si sta infatti lavorando a un viaggio a Varsavia tra il 20 e il 22 febbraio, a margine della visita in Polonia di Joe Biden (incontrerà il presidente Andrezey Duda e i membri del Bucarest Nine), puntando ad essere nella capitale ucraina entro il 24 del mese, anniversario dell'invasione russa. Un viaggio che Meloni ci terrebbe a fare, ma che già era reso complesso da questioni logistiche ed organizzative legate alla presenza di Biden a Varsavia e all'intensificarsi del conflitto sui cieli di Kiev. E che nonostante la netta presa di posizione di Palazzo Chigi di ieri sera sul fatto che il governo italiano sostiene in maniera «chiara» e «convinta» l'Ucraina rischia ora di essersi ancora più complicato.
Bisognerà vedere oggi - ad urne
chiuse - quanto il risultato delle regionali inciderà sugli equilibri della maggioranza. Non solo in chiave interna, ma anche sul delicatissimo fronte della politica estera. Che per Meloni è ora uno dei dossier più delicati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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