
Del libro del leader di Italia Viva Matteo Renzi, L'influencer, edito da Piemme, ho da contestare il titolo, perché più calzante sarebbe stata la titolazione: «Dizionario degli insulti».
Fin dalla prima pagina e ad ogni riga il lettore si imbatte in un'offesa dietro l'altra diretta contro la premier Giorgia Meloni, alla quale si riferisce anche il sostantivo «influencer», in quanto Renzi è convinto che a Meloni interessino più i cuoricini sui social network che operare per il bene del Paese, parafrasando il fiorentino stesso.
Sia chiaro, non sono tipo che si scandalizza davanti agli improperi, agli attacchi, alle critiche, io medesimo ne subisco da sempre così tanti che non mi fanno effetto. Tuttavia incapparne in una mole siffatta desta un certo sconcerto, se non altro perché quello che giunge al lettore è il sentimento di fastidio, di profonda insofferenza e di invidia che colui che scrive nutre nei riguardi del primo ministro.
Che quest'ultimo sia una donna e che sia quindi una femmina ad essere bersaglio di odio a me non fa specie. Non insorgo indignato parlando di sessismo e invocando il rispetto della donna in quanto donna, poiché io sono favorevole al rispetto verso le persone, a presciendere dal sesso, e se gli uomini possono essere insultati non vedo perché non lo possano essere parimenti le donne. Eppure fa effetto che siano sempre soggetti di sinistra, quelli che si schierano a difesa della femmina proposta quale creatura fragile da patrocinare e salvaguardare, vittima del maschio e della società patriarcale, a fare ricorso alla violenza verbale contro le donne, se queste sono di destra, bene inteso. Come se esistessero, da un lato, una sorta di licenza di infangare la femmina di destra e, dall'altro, il divieto di oltraggiare la santa e immacolata donna di sinistra, il cui più fulgido modello è incarnato dalla pluripregiudicata Ilaria Salis, tanto per citarne una.
Matteo Renzi esordisce sostenenedo che Silvio Berlusconi, che in vita aveva sempre torto, aveva ragione quando definì Meloni «arrogante, supponente, prepotente». Lo stesso Silvio che definiva più o meno alla stessa maniera pure Renzi, quindi, se ci aveva visto giusto sulla prima, dobbiamo ammettere che pure sul secondo non si era mica tanto sbagliato. Berlusconi quel dì non era che un politico il quale, pur conservando autorevolezza e consenso, aveva fatto il suo tempo e che si trovava inevitabilmente scalzato da una donna la quale stava emergendo, ancora non prepotentemente ma di certo inaspettatamente, nell'agone politico e in quella destra di cui il Cavaliere era stato leader indiscusso e federatore. Va da sé che la rabbia era forte.
La stessa rabbia che nutre ora Renzi verso quella signora che, governando, anziché indebolirsi, consolida la sua posizione nel partito, nella maggioranza e pure nel cuore degli italiani, oltre che la sua posizione di prestigio, contrariamente a quanto scrive Matteo, in ambito internazionale, dove l'Italia, soltanto grazie a Meloni, può contare sulla garanzia di avere intessuto e di coltivare ottime relazioni con un partner di cui gli europei, quantunque sembra che se ne siano dimenticati, non possono fare a meno, ossia gli Usa, rappresentati dal presidente Donald Trump.
Il libricino di Renzi è teso a demolire Meloni. E questo ci sta, del resto, Renzi è uno dei leader della minoranza, uno dei minori leader della minoranza, ma pur sempre leader della minoranza, fatto a cui egli non pare volersi rassegnare, essendo il toscano molto ambizioso, oltre che arrogante, supponente e prepotente, e lo preciso in senso buono, dal momento che nella vita questi requisiti possono costituire anche virtù, soprattutto in politica. Insomma, non mi meraviglia che Renzi scriva un'operetta volta a distruggere l'immagine della premier, obiettivo che peraltro non sarà raggiunto. Mi sbalordisce piuttosto che tale volontà nasca dalla percezione di Renzi di avere subito affronti da parte di Giorgia, sembra una questione personale più che politica. Infatti, Renzi, già dalle primissime pagine, ovvero già nell'introduzione, fa riferimento al fatto che gli sia stata tolta la scorta e che colpevole sia quella brutta e cattiva di Meloni, la quale, cito lo scrittore, avrebbe l'unico pregio di essere fotogenica.
A me Renzi è sempre piaciuto e non mi capacito del perché egli seguiti ad adoperare i suoi talenti e le sue doti, incluse quelle comunicative e di scrittura, in modo autodistruttivo e autosabotante. Meloni l'arroganza la usa per affermarsi, per difendere l'Italia e gli italiani, per farsi valere. Renzi la usa per perdere le elezioni, per scagliarsi contro chi sarebbe reo di avergli tolto la scorta, per personalizzare un referendum e per poi lasciare il governo, ma non la politica come pure aveva promesso, salvo rimpiangere per sempre di essere durato a Palazzo Chigi quanto un gatto sulla tangenziale e invidiare coloro che, come Meloni, «la più raccomandata della Seconda Repubblica», dentro quel palazzo ci stanno a pieno titolo e la cui posizione e il cui ruolo non sono affatto messi in discussione.
Renzi esprime nel suo libro una previsione che però non è che speranza e auspicio: sebbene i più siano convinti che Meloni sia destinata a governare a lungo, al prossimo giro non ce la farà. Ecco le sue parole: «Non credo a chi dice che questa maggioranza durerà vent'anni. Lo dicono sempre, a tutti. Ma poi non dura nessuno, piaccia o non piaccia. Si spezzerà presto anche l'incantesimo di questa stagione della nostra vita politica. Come tutte le stagioni è destinata a finire, la ruota è destinata a girare e noi possiamo ben dirlo con cognizione di causa. Non ho dubbi: la fiamma è destinata a spegnersi. Anche quella fiamma lì, tranqulli. Anche perché l'Italia è un Paese in cui, dal 1994, chi governa non ha mai vinto le elezioni successive, mai. E la stessa cosa accadrà nel 2027 quando Giorgia Meloni tornerà a fare la cosa che sa fare meglio: l'opposizione. Perché lei nel fare opposizione è bravissima: è per governare che proprio non è adatta».
Ebbene, mi tocca esprimere alcune osservazioni. Innanzitutto sapere fare opposizione è difficilissimo ed è altresì un compito altamente democratico, dato che senza opposizione non c'è democrazia, quindi che Meloni la sappia fare, capacità che le riconosce Renzi, denota solamente che, contrariamente a quanto si dica, ossia che Meloni sia fascista, ella è espressione della democrazia in purezza. È la sinistra, come ammette lo stesso Renzi, a non sapere fare opposizione, su questo punto non possiamo che concordare con il leader di Iv, che trascura tuttavia che anche lui compone quell'opposizione incapace di fare opposizione se non insultando, inveendo e chiedendo le dimissioni di pezzi della maggioranza. È stando all'opposizione che Meloni si è fatta le ossa e si è formata per governare, per governare bene come sta governando.
Inoltre, Renzi scrive che in Italia «chi governa non ha mai vinto le elezioni successive», beh, vorrei fargli notare che in Italia chi ha governato spesso non le aveva nemmeno vinte le elezioni e, nel suo caso specifico, non era stato neppure candidato, nemmeno era passato per le urne, se non quelle fiorentine, troppo piccole però per legittimare la guida di un intero Paese. Eppure per Matteo Renzi la «raccomandata di ferro» è Giorgia Meloni, una che avrebbe avuto la strada spianata, che sarebbe stata spinta, sponsorizzata, aiutata, messa lì dove sta non si capisce da chi, Renzi sottolinea, utilizzando la parola «raccomandata» centinaia e centinaia di volte, in maniera ossessiva e compulsiva, che Giorgia, la quale si proporrebbe come donna che si è fatta da sé, sia stata agevolata e fatta dagli uomini, a comincare da Belusconi e Fini e non soltanto da loro, uomini verso i quali avrebbe avuto pure la colpa di essere irriconoscente e di averli traditi.
I progressisti, come Renzi, si proclamano femministi, ma risultano non in grado di accettare il successo di una donna, che una lei insomma ce la faccia con le sue forze, grazie alla sua determinazione, alla sua coerenza, alla sua costanza, alla sua forza di volontà irriducibile, ecco allora che la screditano, non riuscendo a sopportare che lei sia dove loro non sono, che lei compia quello in cui essi hanno fallito, che lei abbia conquistato legittimamente ciò che a loro fu regalato, e fanno ricorso allo stereotipo maschilista della donnetta che viene spinta - non si sa perché e qualche volta si insinua ciò che più è vergognoso - dal maschione di turno che se la prende a cuore, magnanimo, misericordioso, buono e soprattutto potente, senza il quale ella non sarebbe stata che nessuno e niente e che ella ha spietatamente
sfruttato per poi gettarlo via. Sarebbe ora di smetterla con tali pregiudizi infamanti.Leggendo il libro di Renzi ho capito che l'invidia delle donne tra loro è orribile, ma quella degli uomini verso le donne è persino peggiore.
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