Nella battaglia contro la «Grande Riforma» targata Meloni (prima era il presidenzialismo, promesso in campagna elettorale, ora si è passati al premierato elettivo) il Pd ha già lo slogan pronto: «Giù le mani da Mattarella».
Ieri, proprio mentre la ministra delle Riforme Elisabetta Casellati annunciava di esser pronta a portare il suo progetto di elezione diretta del capo del governo in una delle prossime riunioni del Consiglio dei ministri, il responsabile riforme del Pd Alessandro Alfieri lanciava il suo altolà: «È la proposta peggiore che si potesse mettere in campo, era meglio persino il presidenzialismo», che almeno imporrebbe «una riforma delle prerogative delle Camere, modello Usa». Invece il premierato («che non esiste in altri paesi occidentali») «indebolisce la figura del presidente della Repubblica, che diventa residuale», con il rischio di privarsi di «una figura terza che ha il compito di mediare tra le conflittualità» di una politica sempre più polarizzata.
Il messaggio è chiaro, e lo riassume il capogruppo dei senatori dem Francesco Boccia: «Il presidente della Repubblica non si tocca». Se mai si arrivasse al varo parlamentare del progetto di elezione del premier - cui il centrosinistra, con l'unica eccezione di Matteo Renzi, fan del «sindaco d'Italia», si dice fermamente contrario - la maggioranza non avrebbe i numeri per evitare il referendum costituzionale confermativo. E al Nazareno Elly Schlein accarezza il sogno di infliggere a Giorgia Meloni una sconfitta modello Renzi 2016. Come? Polarizzando la partita sul «tutti contro Meloni» e issando il vessillo Mattarella. Il capo dello Stato è l'unico leader a godere di un gradimento stabile, trasversale e più alto di quello della premier. E con le sue pacate esternazioni ha dimostrato di saper influenzare il dibattito politico e tirare le redini all'esecutivo più di tutti gli strilli delle opposizioni messi insieme. Una campagna ben calibrata che alimenti l'allarme sull'accentramento totale dei poteri nelle mani del premier, e sulla messa in mora della terzietà presidenziale (ergo di Mattarella), pensano al Nazareno, potrebbe mobilitare l'opinione pubblica contro la riforma. Tanto più, fanno notare, se si usasse l'argomento fine-di-mondo che, in caso di vittoria del sì al nuovo sistema, Mattarella sarebbe costretto alle dimissioni.
Che il problema sia sentito anche nel centrodestra lo dimostrano le rassicurazioni (rivolte al Colle) arrivate ieri da«fonti del ministero» di Casellati: nella riforma ci saranno i «contrappesi» per «evitare di mettere in discussione i poteri del capo dello Stato». Nel frattempo la maggioranza deve superare il proprio stallo interno, che vede da una parte Fdi che punta sul premierato (che non appassiona Salvini) e dall'altra la Lega che reclama l'autonomia differenziata (che fa temere a Meloni di perdere i voti del Mezzogiorno). Entrambi vogliono la propria bandiera, per farci la campagna elettorale per le Europee, e per ora si bloccano a vicenda.
«Sono troppo divisi, la mia previsione è che non avranno il coraggio di andare avanti sul premierato, e sull'autonomia sono in panne. Resterà tutto com'è», è il pronostico di Matteo Renzi. Che di riforme e referendum si intende.
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