Il rigore della Merkel è un autogol

Non è vero che la Cancelliera si aspettava la flessione del Pil. Anzi, ha favorito la deflazione dell'intera Eurozona

Il rigore della Merkel è un autogol

di C ontro le proprie aspettative, la Germania è andata in semi recessione, con una inattesa decrescita dello 0,2 per cento del Pil nel secondo trimestre. Il ministro tedesco dell'Economia Sigmar Gabriel, leader della Sp, che governa la Germania assieme ai popolari della Merkel, ha dichiarato che la causa di ciò sono il «molto esitante» andamento della ripresa nell'Eurozona e le sanzioni alla Russia e all'Iran, che hanno ridotto l'export. Ha anche aggiunto che ciò era stato messo nel conto. Così si è dato, doppiamente, la zappa sui piedi. Infatti, dato che questo risultato era inatteso da tutti, non è vero che Berlino avesse messo nel conto che la Germania avrebbe avuto una decrescita dello 0,2%. E, comunque, se Berlino davvero aveva previsto che - sommando le difficoltà di ripresa dell'Eurozona con le sanzioni alla Russia e all'Iran che hanno depresso l'export tedesco e quello di altre nazioni europee (vedi l'Italia in particolare) - tutti ne avrebbero avuto un danno, perché non ha preso le misure adeguate?

La Germania non ha varato le misure di espansione della domanda interna, che secondo le norme europee, essa doveva prendere, per ridurre l'anomalo surplus della sua bilancia dei pagamenti correnti che ha generato un artificiale rialzo del tasso di cambio dell'euro, rispetto al suo potere di acquisto. Tali misure sarebbero servite ad aumentare la domanda della Germania e quella dell'Eurozona, con beneficio per tutte e due. Inoltre la Germania non si è curata di promuovere progetti europei di espansione della domanda di investimento, tramite il finanziamento della Banca europea degli investimenti, eventualmente anche con l'emissione di project bond europei. E per giunta il governo tedesco e la Bundesbank hanno limitato e dilazionato le iniziative di Draghi di espansione del credito da parte della Bce che avrebbero rilanciato l'economia dell'eurozona, dando più ossigeno finanziario alle imprese ed abbassando il tasso di cambio dell'euro. La Germania ha promosso la deflazione dell'Eurozona, con danno per lei stessa. La verità è che il governo tedesco e la Bundesbank si sono sbagliati. Pensavano che tenendo alto in modo artificioso il tasso di cambio, con una politica di controllo della domanda interna e con il veto alla Bce ad una immediata espansione del credito, la Germania avrebbe continuato a crescere anche se la Francia e l'Italia, i due maggiori competitori industriali, avrebbero seguitato a faticare. È - d'altronde - paradossale che in Francia e in Germania siano al potere due partiti socialdemocratici, che a nel Parlamento europeo fanno parte dello stesso gruppo politico a cui appartiene il ministro tedesco dell'Economia Sigmar Gabriel. I partiti socialisti che sono al potere nei tre paesi maggiori dell'Eurozona, Germania, Francia e Italia non hanno preso alcuna iniziativa comune per combattere la deflazione. Eppure non è necessario essere keynesiani, per capire che lo si doveva fare. Ma in questi tre partiti non ci sono elementi di idealismo. Vi domina la ricerca di interessi particolari. La Germania ha subito il rallentamento inatteso, ma non se ne assume colpa né fa proposte per contrastare l'andamento emerso. Scarica colpe e problemi sugli altri.

Certo, in settembre-ottobre ci sarà l'intervento espansivo della Bce guidata dal saggio Draghi. Ma San Draghi non può far miracoli. Non bisogna illudersi che ciò ci basti o che si possa sperare in efficaci iniziative europee.

Dovremo arrangiarci da noi, prendendo esempio da Spagna e Portogallo che, nel secondo trimestre, hanno registrato una crescita dello 0,6% del Pil perché hanno fatto riforme serie nel lavoro, liberalizzandolo. E non hanno fatto, nel campo fiscale e altrove, giustizialismo e disegni astratti di vetero sinistra.

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