Come volevasi dimostrare. Con 43 sentenze fotocopia, in spregio alle recenti raccomandazioni della Cassazione sulle sentenze da calare sul singolo migrante e non «erga omnes», i giudici della Corte d'Appello di Milano inaugurano un altro round nella guerra tra politica e magistratura. La terza bocciatura del protocollo Albania sembra il colpo del ko ma non dovrebbe fermare i viaggi verso il porto di Shengjin e il centro di detenzione di Gjader dei maschi, maggiorenni e in buona salute (ieri si è aggiunto un altro fragile, subito rimpatriato) intercettati da Gdf e Guardia costiera nel Mediterraneo. Quando torneranno in Italia tra stanotte e domani al porto di Bari i migranti egiziani e bengalesi saranno liberi in virtù di dispositivi sostanzialmente fotocopia: giudizio sospeso nelle more della decisione della Corte di Giustizia; impossibile osservare il termine di 48 ore per la convalida come dice la Corte Costituzionale; la possibile violenza di genere nei Paesi di provenienza dei migranti. Ma queste raccomandazioni erga omnes andavano calate sul singolo richiedente asilo sulla base di un'istruttoria, o almeno così aveva chiesto la Cassazione quando aveva sancito che era diritto della politica definire sicuro Egitto e Bangladesh. Se non hanno avuto diritto all'asilo è perché questi migranti non sono stati trovati con mutilazioni, non hanno dichiarato di essere della comunità Lgbt, o minoranze etniche o religiose. È qui il vulnus delle sentenze fotocopia.
L'opposizione fa rumore, parlando di spreco miliardario, ignorando che a regime il sistema accoglienza costa all'Italia un miliardo di Pil all'anno, a fronte dei 200 milioni spesi per l'Albania. Ma tant'è.
E adesso cosa succede? L'ennesimo capitolo della guerra che la magistratura ha dichiarato al governo dimostra ancora una volta che esiste una scuola di pensiero italiana che non vuole in nessun modo rendersi conto che la battaglia europea sull'immigrazione non suona più come «tutti hanno diritto di entrare, poi si vede», come si è visto dalla giurisprudenza creativa che in questi anni ha sancito come «diritto del migrante» quello a una vita in Europa anche senza lavoro o senza casa. In questa stagione politica che stiamo vivendo ci sono due strade possibili: la prevalenza della politica o quella del diritto. Ma se un diritto si è allargato a dismisura lo decide la politica. Lo si vede dagli Stati Uniti di Donald Trump, dalla Francia che ha fatto strame della circolare Valls, delle recenti scelte politiche della Germania.
Queste maglie si stanno stringendo anche nell'Unione europea, che vede negli hotspot extra Ue come l'Albania la soluzione perfetta. E presto arriverà a proteggerli dalla giurisprudenza buonista una cornice giudiziaria europea che la sublimerà. Non è escluso che il 25 febbraio la Corte Ue nella spiegazione genuina del concetto di «Paese sicuro» non dia ragione all'Italia e torto alle toghe. Ed ecco perché il protocollo Albania continuerà fino ad allora.
Non ha nulla da temere chi ha davvero diritto all'asilo e non ha nulla da nascondere, vedi i 53 migranti che l'altro giorno sono scesi a Lampedusa dal barchino partito dalla Libia con in mano i documenti e hanno evitato questa procedura. Le navi Ong finanziate da chi vuole ricattare l'Europa a suon di migranti hanno paura di multe e sequestri molto più salate dei soldini presi dai migranti raccattati in alto mare con la complicità più volte documentata degli scafisti. A regime meno sbarchi significheranno meno morti e più tempo da dedicare all'analisi e alla valutazione del singolo migrante.
Con buna pace di chi oggi preferisce presidiare il porto di Shengjin e blaterare di campi profughi in Calabria senza sapere che proprio la 'ndrangheta a Cutro (luogo della strage di migranti) ma non solo raggranella soldi e consensi sulla loro pelle.
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