Rischio-Troika e banche gambe all'aria: dire sì al Fondo è un'ipoteca sul futuro

La riforma renderà più semplice la ristrutturazione del debito di un singolo Paese. E le crisi bancarie saranno "affari di Stato"

Rischio-Troika e banche gambe all'aria: dire sì al Fondo è un'ipoteca sul futuro

La Germania ha dato il via libera alla ratifica del Fondo salva-Stati europeo, il Mes. Il Bundesverfassungsgericht, la Corte costituzionale tedesca, ha respinto il ricorso di sette deputati liberali. I ricorrenti, secondo l'istituzione di Karlsrühe, non hanno spiegato in modo esaustivo come sarebbero lesi i loro diritti. Il presidente della Repubblica a questo punto potrà firmare la legge.

A questo punto la difficoltà maggiore è sulle spalle dell'Italia, che dal 2019-2020, con i due governi Conte (ma anche l'esecutivo Draghi ha evitato di sabotare la propria maggioranza introducendo il dibattito) ha sistematicamente dribblato il dossier ratifica. Ci sarebbe anche un altro Paese nelle nostre stesse condizioni: è la Croazia, che per tre settimane ancora non sarà parte dell'area euro. Anche Zagabria aveva rinviato la questione al parere dell'alta corte tedesca. Ora, come Roma, non avrà più scuse. Anche perché la mozione, approvata di recente in Parlamento dalla maggioranza, vincolava l'Italia al pronunciamento tedesco, circostanza più volte ribadita dallo stesso ministro dell'Economia Giorgetti.

Il ritardo dell'Italia non è del tutto ingiustificato anche se, a partire da M5s per finire con Lega e Fdi, spesso la contrarietà ha prevalso sulle argomentazioni. E questo ha inciso negativamente sull'immagine di chi si opponeva.

Vale, quindi, la pena di ricordare un po' la storia. Il Mes è nato nel 2012 perché i suoi predecessori (Efsf e Mesf) avevano esaurito le disponibilità per aiutare nell'ordine: Grecia, Cipro, Portogallo, Spagna e Irlanda. Il Mes è subentrato nei rapporti giuridici e il suo intervento coincide con l'arrivo della Troika (Commissione Ue, Bce e Fmi nel caso partecipi al «salvataggio») che sottopone il Paese a una serie di riforme draconiane che vanno dal taglio delle pensioni alla riduzione del numero dei dipendenti pubblici ad altre misure per tagliare la spesa corrente inclusa quella sanitaria.

Oggi il Mes può raccogliere fino a 700 miliardi di euro, prestarne almeno 500 e l'Italia vi contribuisce con poco più di 14 miliardi di euro, in quanto terzo Paese per Pil in Eurolandia. La riforma del Mes da ratificare e che entrerà in vigore il primo gennaio 2024 prevede due innovazioni poco gradite al fronte cosiddetto «populista-sovranista». La prima è rappresentata dalle collective action clauses (clausole di azione collettiva). Se il Mes riconoscesse come poco sostenibile la situazione debitoria del Paese aiutato, potrebbe chiederne il default immediato del debito pubblico per provvedere a una ristrutturazione che ricadrebbe su tutti i detentori, a partire dagli investitori istituzionali (banche e fondi di investimento).

La seconda innovazione è il backstop. Il Mes sarà il principale finanziatore del Single Resolution Fund della Bce (strettamente connesso al nuovo sistema comunitario di assicurazione sui depositi bancari) nel caso le sue disponibilità (tra 60 e 80 miliardi di euro) dovessero essere insufficienti. È palese che la crisi di una grande banca o del sistema bancario di un singolo Paese diventerebbe un argomento gestito dal Mes e, quindi, potrebbe implicare, a cascata, una ristrutturazione del debito pubblico sebbene collegata alla crisi di uno o più istituti di credito e non al Paese stesso.

Questo è il motivo per cui il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli (in foto), tre anni fa dichiarò che «le banche hanno 400 miliardi di debito pubblico italiano (al 30 giugno la cifra era salita a 550 miliardi; ndr); il mio problema è capire cosa fa la Repubblica italiana per tutelarlo». Meloni e Giorgetti lo sanno e se dovessero dire sì, la speranza è quella di non averne bisogno.

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