Mussolini aveva gufato prima della partenza dall'aerodromo milanese di Baggio, «si ricordi, generale, mai andare due volte contro lo stesso destino». Umberto Nobile solo due anni prima, nel 1926, aveva sorvolato il Polo Nord con Roald Amundsen a bordo del Norge, un successo cavalcato al galoppo dal regime. Il duce aveva anche ammonito Nobile che non si facesse troppe illusioni, l'impresa del dirigibile Italia non «colpirà la fantasia popolare come quella precedente». In realtà la spedizione avrebbe catturato l'attenzione dei media internazionali per lo schianto dell'«Italia» sul pack, soprattutto per l'odissea degli otto superstiti (su sedici) della Tenda Rossa; poi il mondo si sarebbe diviso sulla condotta del comandante irpino che si mise in salvo per primo, («Nobile come Schettino in fuga dalla Concordia», disse Folco Quilici nel 2017, pochi mesi prima di morire).
Novant'anni dopo l'Artico non è più un mondo da scoprire, ma da sfruttare e colonizzare; allora era quasi un altro Pianeta, oggi, a causa del riscaldamento climatico, è un nuovo mare che emerge come un'Atlantide d'acqua, il pack sta sparendo svelando immense risorse, soprattutto petrolio e gas, pari a 20 trilioni di dollari, l'equivalente del Pil americano. Forse potrebbe riconsegnare anche i resti di coloro che nell'impatto del dirigibile rimasero prigionieri della navicella e vennero spazzati via dal vento: infatti tra agosto e settembre, nel corso di un'impresa velistica italiana definita «estrema», il PolarQuest2018 (in missione scientifica nel «nuovo Artico»), partirà dalle isole Svalbard verso il Polo alla ricerca del relitto. Accade soprattutto che solo a novant'anni di distanza da quel 12 luglio del 1928, quando il rompighiaccio russo Krassin raggiunse la Tenda Rossa, i discendenti di quegli uomini, sopravvissuti e dispersi, si ritrovino insieme per la prima volta: si sono dati tutti appuntamento alla Casa dell'Aviatore a Roma. «Sono cresciuto nel mito di mio nonno e di quella sua eroica decisione di partire con due compagni sul ghiaccio in una disperata, ma infine vincente marcia verso Sud alla ricerca di terra ferma e di aiuto», dice Filippo Belloni, commercialista di Padova e nipote di Filippo Zappi, capitano di corvetta: «Da velista ho doppiato Capo Horn portando al collo il suo binocolo. Lo porterò con me anche a Roma», dice. «Ci saranno pure alcuni discendenti dei soccorritori, italiani e stranieri», aggiunge Giuseppe Biagi, organizzatore della rimpatriata e nipote del celebre marconista che s'incaponì nel tentare di aggiustare la radio finché, dopo molti giorni, il suo segnale fu recepito da un radioamatore russo: «Verrà addirittura il nipote di Amundsen», precisa. Il leggendario esploratore norvegese, quando nessuno sa come e dove andare in soccorso di Nobile e degli altri naufraghi dell'aeronave, parte in perlustrazione solitaria su un idrovolante e scompare nel Mare di Barents, un gesto che molti interpretano come la volontà di dare una lezione a quel pilota italiano che due anni prima si era allargato troppo con le vanterie e gli aveva rubato la scena.
Ciò che sorprende, a fronte delle molte iniziative nazionali, compreso il coinvolgimento del Cnr che ospiterà in agosto un'ampia delegazione della neonata «Associazione dei discendenti dell'Italia» alla base scientifica di Ny-Alesund alle Svalbard, è la latitanza di Milano (a parte un convegno lo scorso maggio al Museo della Scienza e della Tecnica); forse perché si giudica sconveniente associare il nome di una città che sta vivendo una stagione di successo a un evento sfortunato e tragico. Eppure furono gli imprenditori milanesi a finanziare la costruzione del dirigibile con circa 40 milioni di euro attuali e a riscuotere i diritti della campagna mediatica, con la diffusione in esclusiva delle news dalla nave appoggio «Città di Milano».
Sembra quasi che si voglia dimenticare, come una maledizione, il primato di Milano, prima città al mondo ad aver conquistato il Polo: infatti, il giorno
precedente il disastro, Nobile fa calare il gonfalone ambrosiano insieme a una croce fatta costruire apposta da Pio XI. Novant'anni dopo, l'area dove sorgeva l'aerodromo di Baggio, è divorata dagli sterpi e occupata da campi rom.
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