La rivincita delle donne in passerella a New York

Da Tory Burch a Chiara Boni a Longchamp la moda è femminile ma mai leziosa o sexy

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New York Dalle sfilate in corso a New York per il prossimo inverno si leva un grido corale: «Forza donne». La parola più usata nei backstage è «empowerment» che sta per «potenziare» seguita a ruota da «strenght and power»: forza e potere. Ne parla Tory Burch poco prima di far sfilare la sua bella collezione nella prestigiosa sede della casa d'aste Sotheby's davanti a 11 opere dell'artista italo-americana Francesca DiMattio che ingloba pezzi di ceramica, tappeti e tessuti elaborati nelle sue gigantesche sculture dedicate al corpo femminile. I suoi disegni pieni di colori e poesia diventano le belle stampe floreali sui fantastici abiti da sera con un lato tutto nero dopo la larga striscia di paillette in plexiglass luccicante che li divide esattamente in due. Sembra una metafora dell'anima femminile proprio come i romantici abiti da giorno di sapore vittoriano opposti ai bei completi maschili ingentiliti solo nel taglio e negli accessori. Dello stesso segno le frivolissime gonne pieghettate con orlo a fazzoletto contrapposte al severo cappotto doppiopetto cammello. Insomma non c'è niente di lezioso e tantomeno di sexy, ma tutto è morbido, sensuale e femminile compresa la voce di Alice Smith, la cantante che intona dal vivo «You don't own me», storico inno femminista lanciato da Leslie Gore nel 1962. «Le donne sono tante cose in una, bisogna solo aiutarle a tirar fuori il loro potenziale» conclude la designer cui si deve una fondazione The Tory Burch Capital Program - che, attraverso la Bank of America, finanzia start up femminili e specifici programmi educativi. I 55 milioni di dollari raccolti finora hanno aiutato circa 2000 donne a diventare imprenditrici e più di 180 a completare gli studi superiori di business administration.

Per Chiara Boni che è sempre stata tanto femminile quanto femminista, amica delle donne anche quando non era di moda, il discorso su identità e libertà di genere passa dalla Spagna, il paese-simbolo della passione e delle donne come la Carmen di Bizet che non credono nella proprietà privata dei sentimenti. La prima uscita è affidata ad Anna Cleveland con un bel paio di baffi dipinti sul bel viso. Più che all'identità di genere pensiamo a Paloma Picasso che ha sempre alternato i gessati maschili di gusto sartoriale con ruche, volants, frange luccicanti e maniche elaborate. Certo i pantaloni de La Petite Robe di Chiara Boni sono fatti per togliere visivamente una taglia ed esaltare le curve femminili, ma la griffe adesso prevede anche una capsule da uomo pronta a sbarcare in America con le stesse caratteristiche di praticità e vestibilità dei modelli da donna. Conclude il cerchio Sophie Delafontaine, direttore creativo di Longchamp, marchio fondato da suo padre, Philippe Cassegrain. Anche lei pensa a questo tipo di donna lontana anni luce dalle sexy ladies tutte spacchi, scollature e trasparenze. Il suo stile molto francese e ultra borghese, stavolta ha una marcia in più: quel certo non so che di sportivo e al tempo stesso chic dato da una bella gonna-pantaloni, da un bellissimo paio di stivali e dalla cappa in camoscio buttata sulle spalle con nonchalance. Certo ricorda molto Celine by Hedi Slimane e prima ancora Saint Laurent nel senso di Yves, ma così va la moda ora e questa è la città in cui da un mese si sta svolgendo il processo contro Harvey Weinstein, il predatore seriale per cui è nato il #metoo.

Infatti per rivedere qualche centimetro di pelle scoperta e almeno la forma delle gambe delle modelle ci vuole la sfilata di Custo Barcelona, un uomo che ama davvero le donne e il loro corpo, ex campione olimpionico di ginnastica artistica e quindi con una sana passione per la fisicità.

Stavolta la sua collezione prodotta e distribuita dalla Aeffe di Alberta e Massimo Ferretti aggiunge il linguaggio tecnologico al magico ensemble di grafica e colore. E il risultato è un nuovo modo di pensare allo sportswear e delle sneaker pazzesche.

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