Prima di essere oscurata dal palcoscenico del mondo, la disperazione dei lavoratori cinesi ha fatto irruzione sugli schermi dei telefonini di mezzo mondo. Gli stessi telefonini che loro stessi, in condizioni disumane, sono chiamati ad assemblare giorno e notte. Eppure il mondo ha potuto intravedere la marcia davanti alla polizia schierata e rabbiosa, i sit-in, le vetrate rotte. «Difendiamo i nostri diritti» gridavano in processione, «vogliamo andare a casa». Poi le botte. L'hashtag su Weibo «Foxconn Riots» è finito nelle maglie della censura del Great Firewall nel corso della giornata e fine delle trasmissioni. Solo in serata, di fronte all'ennesimo imbarazzo, Foxconn ha confermato le «violenze» avvenute nella notte e in mattinata. Centinaia di lavoratori in rivolta nello stabilimento Foxconn di Zhengzhou, il polo tra i più grandi al mondo, la cosiddetta «iPhone City», che impiega circa 200mila persone, ed è il principale impianto di assemblaggio di iPhone 14 Pro e iPhone 14 Pro Max. Qui il malessere aveva raggiunto livelli insostenibili. La piattaforma cinese Kuaishou è stata riempita di video sulle manifestazioni, prima di essere prontamente oscurata dalle autorità. Lo stabilimento di Zhengzhou è già noto alle cronache. La fabbrica è grande una volta e mezzo Central Park, e segnali di malessere erano emersi subito dopo l'inconsueta uscita di Apple che ad inizio mese aveva avvertito che a causa delle restrizioni Covid, la produzione avrebbe subito un rallentamento. Pare che a fare da miccia sia stato il mancato pagamento di alcuni bonus, ma dietro c'è altro. In un comunicato, il colosso hi-tech di Taiwan ha chiarito che i lavoratori si sono lamentati per la retribuzione e le condizioni dell'impianto, ma ha negato di aver ospitato i nuovi assunti con personale positivo al Covid. I cinesi sono al limite della sopportazione nei confronti della strategia zero Covid decisa a Pechino, con cui ogni focolaio viene represso con pesanti lockdown. Solo che la produzione non può essere fermata, quindi a Zhengzhou i dipendenti sono costretti a isolarsi nello stabilimento, dove si lavora, si mangia e si dorme, e a sottoporsi a uno screening quotidiano per scongiurare un focolaio.
Condizioni alienanti unite a mancati pagamenti avrebbero dunque fatto crescere la frustrazione: regole tante, rigide e inefficaci per contenere il virus, e cibo scarso e di scarsa qualità. I dipendenti positivi dormirebbero isolati dagli altri salvo poi incontrarsi in catena di montaggio, e i pasti sarebbero quasi sempre uguali, patate e cavoli. Insomma nessuna contaminazione dall'estero, una sorta di prigione. In migliaia sarebbero fuggiti, chi è rimasto adesso protesta. «Foxconn non ci tratta da esseri umani», ha detto un dipendente.
La motivazione delle proteste secondo i media ufficiali cinesi potrebbe essere legata al bando della maxi-assunzione di 100.000 persone da parte di Foxconn, ma a molti è sembrato solo l'ennesimo, misero tentativo, di mettere i lavoratori contro.
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